giovedì 29 novembre 2007

La notorietà del male

La citatissima frase di Andy Warhol (in futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti) forse non profetizzava per quale via si sarebbe divenuti famosi in un futuro che oggi è il presente.
Non era sufficiente la notorietà che i reality show donano ad alcune braccia rubate all'agricoltura o alla manovalanza edile: adesso si diventa noti (e, per corollario, ricchi ed idolatrati) anche se si è sospettati o condannati per aver ucciso qualcuno.
E' il caso, attualmente, di Marco Ahmetovic, il giovane di etnia rom condannato a sei anni e mezzo di reclusione (attualmente scontati agli arresti domiciliari) per aver ucciso quattro giovani nelle Marche guidando ubriaco un furgone. Con l'ausilio di un promoter pubblicitario, Ahmetovic sarebbe divenuto testimonial di una presunta Linea rom di vestiti ed accessori.
Non conosco i prodotti griffati e promossi dal condannato né gli introiti che questo ha realizzato (anche se si parla di un contratto che prevede un compenso di € 300.000).
Tuttavia mi sorge spontanea una meditazione. Vivo in un contesto nel quale guidare tranquillamente è un'utopia, assediati come si è da scooteristi, i quali ti si parano dinanzi con la disinvolta impunità di chi è al sicuro all'interno di un TIR, senza valutare l'instabile fragilità delle due ruote, che dovrebbe indurre alla prudenza.
Ebbene: con un atteggiamento cauto e prudente nei confronti di questi imbecilli, ho evitato che decine di persone si facessero male, anche se lo avrebbero meritato per la loro condotta ai limiti del criminale.
Ora, se Ahmetovic è divenuto testimonial dopo aver commesso una strage al volante, qual'è il compenso per me per aver salvato (e per salvare ogni giorno) vite umane?
Attendo una risposta a stretto giro, altrimenti deporrò ogni scrupolo ed investirò chi merita di essere investito, ucciderò chi merita di essere ucciso e renderò paraplegico chi cerca ogni giorno di finire sulla sedia a rotelle. Poi narrerò il mio stress e la mia lacerazione emotiva di fronte alla protervia ed arroganza delle mie vittime e diventerò famoso. La ricchezza di certo seguirà alla fama.
Perciò attenti, voialtri: c'è un nuovo sceriffo in città che non lascerà impunite le vostre infamie a bordo dello scooter.

domenica 18 novembre 2007

Considerazioni sulla violenza ultras

Una riflessione pubblicata dopo sette giorni dalle tragiche note vicende del nostro calcio.


Che l’Italia sia un paese – nel suo intimo – profondamente fascista è risaputo, dopo le numerose contro prove che ha dato negli anni successivi all’infausto ventennio.
Se si cercava un’ennesima manifestazione di questa disposizione d’animo fascistofila, la si è avuta all’indomani della tragica morte del tifoso laziale Gabriele Sandri.
Decine e decine di facinorosi si sono presi il lusso di assaltare istituzioni, mentre il coro delle prefiche dei garantisti pelosi salmodiava che no, non si può criminalizzare un intero movimento, un’intera curva o il mondo degli ultras senza fare degli opportuni distinguo. Sbagliato? No, per carità: giusto, ma fazioso e strumentale. Giusto perché la responsabilità penale, nei sistemi giuridici civili, è individuale. Fazioso e strumentale perché è arci noto anche a chi non vuol vedere le croci celtiche o sentire i cori inneggianti a Mussolini, che il mondo ultrà (fatte salve le eccezioni del caso) conosce solo due sfumature politiche : destra ed estrema destra.
Fazioso e strumentale perché le nostre prefiche - quando i “facinorosi” sono i no global - invocano il pugno duro senza se e senza ma, senza troppi distinguo, senza discettare sulla rabbia e sul dolore che ha animato i facinorosi. Oppure come dimenticare la vergognosa criminalizzazione in blocco dei rumeni e dei rom (che non sono neppure la stessa cosa) dopo il tragico assassinio di Giovanna Reggiani? Dov’erano i garantisti in quel caso, che fine avevano fatto gli assertori dell’individualità della responsabilità penale?
Forse sarò anch’io fazioso e strumentale: eppure mi pare che ci sia più legittimazione (ma mai giustificazione) a sfasciare tutto per la rabbia che un osceno sistema di disuguaglianze e di alienazione è in grado di scatenare, piuttosto che per il diverso colore della maglia avversaria. Non posso fare a meno di pensare che chi uccide perché vive in una baraccopoli sub umana in una delle più grandi metropoli occidentali sia più giustificabile di chi assassina un poliziotto durante tafferugli tra tifoserie.
Per favore, cari (si fa per dire) fascistelli di casa nostra: lasciate stare la memoria di un povero giovane la prossima volta che avrete la voglia di far prove tecniche di marcia su Roma. Queste giustificazioni incantano i gonzi o i cripto fascisti in mala fede: a me fanno solo venir la voglia di criminalizzare in blocco e rinverdiscono voglie di campi di rieducazione che, peraltro, non m’appartengono.