martedì 25 dicembre 2007

Il mio Sms di Natale

"Ti auguro un natale con più gioia nel cuore che sulla tavola e più meraviglia per la nascita di Gesù che per i doni sotto l'albero".

A tutti i visitatori del ghiaghia1poliblog augurissimi di buon natale. Aspetto i vostri Sms nei commenti :)

Parole di saggezza

Una riflessione acuta sul socialismo reale ed una molto più banale.

"Quanto è stato impugnato nella Russia sovietica - sia pure con mani sporche e sanguinose - e in un modo che certamente ci disgusta, è però un'idea costruttiva, la ricerca della soluzione di una questione che anche per noi è seria e scottante e che noi, colle nostre mani più pulite non abbiamo ancora saputo impugnare abbastanza energicamente: la questione sociale".
(Karl Barth, febbraio 1949, Conferenza a Berna)
su Karl Barth vedi ad esempio http://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Barth
"Comunismo e fascismo hanno lasciato molte sofferenze e macerie laddove hanno governato. Tuttavia in nome del primo milioni di uomini hanno combattuto grandi battaglie per la liberazione dalla schiavitù e per i diritti sociali, che costituiscono un monumento immortale. Il fascismo non ha prodotto nulla di tutto ciò, anche fuori dai confini delle nazioni nelle quali si è imposto con la violenza".
(ghiaghia1, svariate discussioni in chat)

domenica 9 dicembre 2007

Spe salvi: la valutazione di una teologa cattolica e di un teologo protestante.


Una speranza per tutti
di A. M.

Quando esce un’enciclica ognuno di noi nel suo immaginario vorrebbe essere al posto del Papa che l’ha scritta, si interroga su come l’avrebbe impostata, cerca le questioni che rimangono aperte, esprime le sue perplessità e le sue soddisfazioni. Inoltre, ad ogni enciclica, il tema può risultare più o meno simpatico, può trovare approvazione o meno e creare aspettative differenti.
Un’enciclica sulla speranza, parola e status chiave della vita umana, pone sicuramente ogni uomo in ascolto.
Non voglio entrare in merito alla fondatezza dell’enciclica. La prendo come spunto per portare avanti alcune riflessioni sulla speranza e domande che mi si aprono nello sfogliare le pagine. Non voglio che queste righe siano prese come critica o presa di posizione, ma come parole e domande che aprono questioni, interrogativi e che si mettono in ascolto di questo tempo.

La prima domanda è se serviva un’enciclica su quella che è una virtù teologale, ma anche uno stato dell’animo dell’uomo di ogni tempo.
Il Papa parla della speranza come virtù tipicamente cristiana. In effetti nel Nuovo Testamento e negli scritti dei Padri sono numerosi i riferimenti alla speranza.
Però il Papa non rievoca il fatto che la speranza accompagna l’uomo da sempre ed appartanente ad ogni tempo. Penso alla Spes romana ultima dea o alle figure della speranza evocate da Ernst Bloch il Il Principio Speranza, interamente dedicato al tema della speranza e alle sue forme di vissuto. Ernst Bloch associa tutte queste figure alla dimensione religiosa. Forse non va dimenticato questo vivere la speranza tipicamente umano.

La speranza è per tutti. Forse cambia la dimensione della speranza. In chi speriamo? Perché speriamo? Tipico del cristiano è il non sperare invano, è sapere che non è dell’uomo l’ultima parola e nel riporre la propria dimensione di attesa nel Dio di Gesù Cristo che ha vinto la morte.
Ma perché il Papa non ha riportato la dimensione della speranza a quella dimensione del vivere, sentire, stare sulla terra tipicamente umana?
Scorrendo l’Enciclica la speranza è definita come una certezza. Ritornano in me le parole della Lettera agli Ebrei, tra l’altro rievocate dal Papa: “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”. La speranza implica un non vedere, un non avere sicurezze, ma il fondare la propria aspettativa proprio in quello che non si vede, non si riconosce. La speranza, come la fede, è compagna del faticare umano, del sentirsi sospesi. Perché parlare di certezza in un’epoca in cui nemmeno la scienza è motivo di certezze dimostrabili?
La speranza apre, ma oltre le certezze, le sicurezze del vivere.
Penso al cammino degli Ebrei per quarant’anni nel deserto verso una Terra Promessa. La speranza è il luogo delle promesse, dei desideri non storicamente realizzati, della Terra Promessa.
E immagine storica prima della speranza è la Risurrezione di Gesù Cristo.

Leggo la digressione del Papa sulla verità dei filsofi: “Il Vangelo porta la verità che i filosofi peregrinanti avevano cercato invano...”. Mi credo e mi piace pensare, da filosofa cristiana, che la Verità del Vangelo è ben altra rispetto alla verità filosofica. Forse si integrano, si incontrano, ma la verità di Cristo va oltre ogni verità filosofica. La Verità di Cristo è verità che parla del Padre all’uomo di sempre.
Così anche mi chiedo se davvero la scienza abbia mai pensato realmente di redimere l’uomo, forse, in un tempo di certezze, ha creduto di semplificare la vita all’uomo, di portare ausili, ma non redenzione, tanto meno lo crede in questo periodo in cui l’uomo si scopre sempre più fragile.
La scienza non dà risposte al cuore dell’uomo.

Non ho mai amato l’illuminismo, tanto meno il relativismo che non prende posizione, ma mi domando, leggendo la Spe Salvi, perché scagliarsi contro… e perché scagliarsi contro il marxismo, ideologia di un tempo passato. Forse ora, in questo tempo, sono altri i ‘fondamentalismi’ e gli ‘integralismi’ che abitano l’uomo…

Poi penso a tutti quei luoghi dove la speranza non passa, perché manca la parola di speranza. Che risposte dà l’enciclica a questi spazi? Spesso la mancanza di speranza non dà la forza di pregare e tanto meno di tollerare dolore e sofferenza, vista di un oltre. Penso a tutti quegli spazi di vita, antri chiusi, dove la speranza non arriva perchè noi cristiani non sappiamo metterci parola, abbiamo paura ad accedervi... e questo è il mio primo tarlo.

Dio, alla fine, passa e passa comunque in ogni territorio! Forse questo dovrebbe essere il primo messaggio di un’enciclica sulla speranza alla fine del 2007.

Un'enciclica distante dalla modernita'
di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia

Anche la seconda enciclica di papa Benedetto XVI è una riflessione teologica, ricca di richiami non formali alle Scritture, su un aspetto centrale della fede cristiana. Questo è un bel segno, in un tempo in cui la presenza delle gerarchie cattoliche, in Italia come nel mondo, appare sempre più legata a questioni morali, con interventi tesi ad influenzare le decisioni in materia di etica pubblica, a tutelare condizioni privilegiarie, a controbattere le voci che, nella chiesa romana, intendono il Concilio Vaticano II come l’avvio di un processo di rinnovamento.
Fa bene il papa a rispiegare l’essenziale del messaggio evangelico; il ritorno alle fonti, cioè un rinnovato ascolto della testimonianza delle Scritture è l’unica cosa che può impedire alla chiesa di scambiare qualcos’altro (mondano o religioso che sia) per la speranza di Cristo. Così questa enciclica non manca di affermazioni che si possono condividere e fare proprie, come richiamo alla Parola di Dio, convinti come siamo che il compito ecumenico più urgente sia tornare insieme a scuola di cristianesimo, mettendoci a nudo davanti a Dio e alla sua Parola.
E tuttavia non posso tacere alcuni interrogativi e critiche di fondo. Non mi riferisco a punti di ovvia divergenza dottrinale: ai n. 47 e 48 il papa ripropone, certo in maniera moderata, la dottrina del purgatorio e la pratica del suffragio per i defunti, che a nostro avviso non hanno alcun fondamento biblico e quindi neppure alcuna legittimità teologica. Qui le chiese protestanti non possono che ripetere con Lutero: "Il purgatorio è contro l’articolo fondamentale, secondo cui solo Cristo, e non alcuna opera umana, può aiutare le anime" (WA 40, 205). Ai nn. 49 e 50 il papa chiude la sua enciclica con una preghiera a Maria, "stella del mare", alla quale ovviamente non possiamo associare la nostra richiesta di guida sul cammino della speranza, cosa che avremmo fatto toto corde se essa fosse stata indirizzata a chi solo può accoglierla, cioè a Dio in Cristo.
Mi riferisco invece ad alcuni temi sui quali sarebbe necessaria una testimonianza ecumenica che sia al tempo stesso un "render ragione della speranza che è in noi" e un responsabile fare i conti con ciò che di questa speranza abbiamo fatto nella storia.E qui c’è il primo problema. Come di consueto, per il papa le cose sono andate bene da Gesù (addirittura dalla cacciata dal paradiso terrestre, n. 17) fino ai tempi moderni. In essi, la fede è stata ridotta a fatto privato ed è così divenuta "in qualche modo irrilevante per il mondo"; Lutero ha ridotto la speranza da "sostanza" ad "atteggiamento interiore"; Bacone ha diffuso la fede in un regno dell’uomo basato sulla scienza, che però non può redimere, e di lì si è sviluppato il mito del progresso; Kant ha opposto la "fede razionale" alla "fede ecclesiastica"; Marx ha voluto sviluppare una politica "pensata scientificamente", tesa al "cambiamento di tutte le cose", ma "in modo unilaterale" e, soprattutto, "materialistico". Anziché liquidare tutto questo travaglio moderno con la frase "è necessaria un’autocritica dell’età moderna", il teologo cristiano dovrebbe chiedersi se le correnti di pensiero appena menzionate non abbiano contribuito a mettere in luce l’infedeltà della cristianità trionfante, che ha pensato più al potere (in primo luogo spirituale ed ideologico) della chiesa e degli ecclesiastici che a diffondere la speranza e alimentare la formazione di coscienze liberate; che si è poco occupata di giustizia nel mondo, come invece esige la Scrittura, Antico e Nuovo Testamento; che ha tacitato l’esigenza legittima di un "mondo migliore" in nome di un al di là; che ha combattuto la scienza che invece, biblicamente, può essere vista come vocazione che Dio rivolge all’umanità creata "a sua immagine" ed incaricata del dominium terrae.
Il papa parla, vero, anche di una autocritica "del cristianesimo" (n. 22), ma si tratta di quello "moderno"! Cioè, di quel cristianesimo che ha ripensato se stesso prendendo sul serio gli interrogativi di cui sopra. Questo cristianesimo, che nella chiesa del papa vuol dire una certa teologia "conciliare", deve fare autocritica. Chi ha alle spalle il secolo XX, e non ha né rimosso né idealizza il regime di cristianità, le "auto-critiche" richieste ad altri da chi sta in alto non possono che apparire sospette. Al n. 37 il papa ricorda la speranza incrollabile del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Tin (+ 1857), "prigioniero per il nome di Cristo" e ci propone una autentica testimonianza. L’Europa, però, è imbevuta del sangue di martiri, per lo più cristiani, morti non per Bacone o Kant o Marx, né torturati ed uccisi da adepti delle idee moderne di un regno di dio secolarizzato sulla terra, ma vittime di una cristianità vincente nella sua pretesa di organizzare il mondo con la Verità che essa detiene. La sfida della speranza implica che si rilegga noi per primi, senza sconti, la nostra storia alla luce del giudizio di Dio. Il problema, invece, sembra essere solo che i moderni non credono più al giudizio universale. Che cosa ha fatto di disperante lo stalinismo che non si fosse già visto nell’Europa cristiana, in nome del crocifisso però?
Inoltre non credo proprio che la tentazione più diffusa oggi tra i cristiani e tra gli uomini e le donne del nostro tempo, siano i miti del progresso e l’illusione di un regno di Dio qui ed ora. Vedo piuttosto scoraggiamento, confusione, solitudine, rassegnazione, dubbi, evasione, assenza di prospettive, stanchezza. Qual è la parola che noi riceviamo dall’Evangelo in questa situazione? Questa mi sembra la domanda che attanaglia il testimone cristiano. Per non parlare poi del fatto che la protesta contro l’infeudamento del moderno cristianesimo ai miti del progresso è già risuonata forte e chiara a partire dagli anni ’20 del secolo scorso, ad opera di uno sparuto gruppo di cristiani protestanti (Karl Barth), nell’indifferenza della loro chiesa asservita al nazionalsocialismo e mentre il papa di Roma firmava concordati con Mussolini e Hitler. Eppure per Benedetto XVI il vero problema è la modernità.
L’obiettivo polemico (la modernità e il cristianesimo moderno) ha guidato Benedetto XVI in tutta l’enciclica, e così non appaiono valorizzati testi e contesti biblici che avrebbero dato un’altra impronta al discorso e avrebbero permesso di accogliere serenamente gli interrogativi che attraversano la coscienza attuale, anche cristiana. Secondo il papa, "l’ateismo moderno è … un moralismo: una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale" (n. 42). Ma la protesta, coram Deo!, contro l’ingiustizia è una dimensione fondamentale nelle Scritture, da Giobbe all’Apocalisse, passando per molti salmi e profeti. Se Gesù riprende in croce il grido di Israele ("Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato", Salmo 22), il discorso cristiano sulla sofferenza non può risolversi nell’invito a trovare un senso anche in essa. Se nel Nuovo Testamento i discorsi sul Regno di Dio e sul "frattempo" tra la prima venuta di Cristo e il suo ritorno sono, come sono, articolati e per certi versi contraddittori, ciò andrebbe messo alla base di una riflessione sulla speranza, mostrando che la speranza è una scoperta nelle contraddizioni.
Infine una parola su Lutero. In una bella formulazione, al n. 2, il papa afferma: "il messaggio cristiano non era solo «informativo», ma «performativo». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita." Non siamo lontani dalla scoperta di Lutero: l’Evangelo come parola di Dio che promette, dona, salva. La Riforma, dal XVI secolo, in fondo, non ha voluto dire altro che questo: la Parola è "efficace", dona realmente la realtà che annuncia. Poche pagine dopo, però, Lutero viene liquidato come qualcuno che avrebbe ridotto la speranza ad atteggiamento interiore anziché riconoscerla come "realtà presente in noi". Peccato, un’(altra) occasione mancata per ascoltare oggi chi si è respinto allora, per non prenderlo sul serio come testimone cristiano e farne solo uno dei primi "moderni", che oggi devono fare autocritica.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 5 dicembre 2007