martedì 24 aprile 2007

Revisionismo e falsificazioni

Per gentile concessione della Dott.ssa Elisabetta Roggero, che ringrazio affettuosamente, pubblico sul mio blog questo articolo, già apparso su Left del 08.09.2006, corredato di una esaustiva bibliografia, che tratta un tema scottante ed attuale: il revisionismo storico.



Sono passati oltre quattro mesi dalla condanna a tre anni del pubblicista britannico David Irving, reo di aver espresso in conferenze pubbliche tenute nel 1989 in Austria le sue già note tesi storiografiche, ma risuona ancora l’eco delle reazioni degli studiosi di tutto il mondo. Irving è stato condannato dal tribunale austriaco per aver violato la Verbotsgesezt, una legge che punisce la negazione dei crimini nazisti, punto delicato nel processo di superamento del passato da parte di un paese che negli anni Trenta accolse con entusiasmo l’annessione alla Germania hitleriana e che solo pochi anni fa ha dovuto dar conto all’Unione Europea per la partecipazione all’esecutivo del neonazista Jörg Haider. Dunque, una norma giuridica che scaturisce dal contesto storico austriaco, ma che, recentemente rinnovata, si fa portatrice di principi contro il razzismo e la xenofobia riconosciuti universalmente. Soprattutto per questo colpisce lo straziante grido di lesa libertà d’espressione suscitato dalla sentenza del tribunale viennese sulle pagine della pubblicistica mondiale.La comunità degli intellettuali italiani, in particolare gli storici, in qualche caso paventando prossime imposizioni per decreto sugli studi, ha espresso tendenzialmente un forte disagio verso questo caso giudiziario, manifestando un diffuso timore che la storiografia si ritrovi ad essere difesa in un tribunale, invece della continua discussione nella torre d’avorio dove si fa Cultura, benché a tale livello questo genere di pubblicistica non sia preso minimamente in considerazione.Pur con uno sguardo distratto agli scaffali delle librerie è evidente come l’interesse del grande pubblico per la storia, soprattutto contemporanea, sia esponenzialmente aumentato negli ultimi anni; sempre più spesso troviamo copertine «ad effetto”primeggiare: la storia vende. La saggistica accademica, quella stessa che contribuisce di fatto a costruire e rivedere la storiografia, ma soprattutto educa gli studenti nelle università, rimane invece alle abituali tirature limitate. Non sono molti gli esempi di saggi storici che abbiano venduto quanto il tendenzioso ibrido, con aspirazioni un po’ di saggio e un po’ di romanzo, Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa. Questa operazione commercial-ideologica di rovesciamento del senso comune ha ricevuto un’impressionante e strumentale attenzione da parte dei media, lasciando nell’ombra opere metodologicamente corrette sullo stesso tema come I conti con il fascismo di Hans Woller, con un’unica risposta che ha ricevuto un po’ di rilevanza mediatica: La crisi dell’antifascismo di Sergio Luzzatto, benché sia un’opera improntata criticamente in un’accezione politica e non metodologica.Il genere di storiografia di diversione palesatosi con il successo de Il sangue dei vinti e le conseguenti implicazioni ideologiche, sta prendendo socialmente il sopravvento, probabilmente perché lontano dai poco brillanti toni dell’Accademia, quanto dalle basilari norme professionali e deontologiche dell’attività di storico. Purtroppo questo sintomo della cattiva storiografia continua ad essere sottovalutato o ignorato dagli accademici che preferiscono rimanere lontani dai livelli divulgativi e mediatici, il ché significa anche eludere la critica all’uso politico della storia, fenomeno che supera in senso negativo «l’uso pubblico della storia» stigmatizzato da Habermas.In questo genere di storiografia da scoop si potrebbe inserire buona parte dell’originale lavoro del pubblicista britannico? No.Irving non ha solo espresso sistematicamente opinioni o tesi originali rovesciando un senso comune: egli ha negato l’esistenza delle camere a gas e dunque i genocidi commessi dal nazismo nella maniera che ha reso famosi alcuni suoi lavori: arricchendo l’apparato «critico» dei suoi testi con una pedante dovizia nella registrazione delle fonti attraverso pomposi riferimenti in nota. Il lavoro di Irving si situa dunque a pieno titolo in quella corrente «storiografica» definita negazionismo, che non si limita a revisionare i risultati di oltre cinquant’anni di opere documentate, ma che con una metodologia ben descritta nelle analisi della semiologa Valentina Pisanty, tende a distruggere o ignorare qualsiasi documento intralci la tesi negazionista.La confutazione degli aspetti più ripugnanti del nazismo ed il proposito di una rimozione dalla memoria collettiva è lo strumento primario utilizzato nel tentativo di recuperare moralmente ciò che è stato condannato dalla storia, perciò il movimento negazionista non può essere confuso con il revisionismo pur inteso nell’accezione negativa, ma comunque all’interno di una corretta pratica storiografica, in quanto la revisione è lo strumento essenziale del lavoro dello storico, come coralmente ribadito nella recente raccolta Revisione e Revisionismi a cura di Angelo d’Orsi e Filomena Pompa.La teoria negazionista, che oggi è propagata attraverso le maglie della rete internet in maniera incalzante, s’impone sulla scena internazionale con una polemica scaturita da due interviste rese tra il 1978 e il 1979 al Matin de Paris e Le Monde da parte del docente di letteratura a Lione Robert Faurisson quando sostenne: non ci sono mai state camere a gas nei campi di concentramento. Dal primo intento di uscire dal proprio circolo chiuso, per i negazionisti diventa progressivamente necessaria una legittimazione ufficiale come corrente storiografica, per questo hanno bisogno in qualche modo di staccarsi dall’identificazione con il neonazismo. In questa direzione i trozkisti della francese Vieille Taupe come Pierre Guillame daranno un supporto rileggendo nella Shoah un’alterazione della verità da parte di una potente classe sociale a sé. A rifarsi direttamente alla Vieille Taupe sono i negazionisti marxisti nostrani: Andrea Chersi e Cesare Saletta.In Italia la gestazione del movimento è relativamente tarda ma, oltre alle pubblicazioni Graphos ed ai gruppi che si riuniscono intorno a Ordine Nuovo e ad Ar (Aristocrazia ariana) di Franco Freda, produce esempi quali Carlo Mattogno che pur definendosi un democratico e facendo sfoggio d’erudizione, conta con una vasta produzione negazionista che mette in relazione Auschwitz con la favola di Cappuccetto rosso.Oltre ai negazionisti di stampo cattolico, come la rivista antisemita «Sodalitium» di don Curzio Nitoglia, in chiave antiisraeliana è usato il negazionismo di intellettuali islamici tra i quali spicca Ahmed Rami, fondatore di Radio Islam. Non può stupire, dunque, l’interesse del mondo arabo per la vicenda del negazionista Irving testimoniato dalla presenza della rete televisiva Al-Jazeera e di una rete iraniana al processo viennese.Nello stesso periodo della condanna ad Irving un’altra vicenda giudiziaria ha avuto eco sui media, quella di Wanna Marchi, nota per le truffe perpetrate ai danni di persone che semplicemente «le hanno creduto». In questo stesso senso si potrebbe leggere la condanna ad Irving, per punire una grave truffa costruita a danno di tutta quella parte di società che non è stata educata a discernere tra il rigore storiografico e la pubblicistica impegnata in progetti meramente commerciali oppure, come in questo caso, quelli volti in maniera esplicita a negare i crimini nazisti difendendone deliberatamente il progetto politico. Dunque non si può che concordare con le conclusioni del medievista Giuseppe Sergi, che in una rassegna di reazioni al «Caso Irving» per il notiziario di una piccola associazione torinese di storici (http://www.historimagistra.org) ha concluso: Irving «ha presentato come conclusioni scientifiche informazioni non supportate dalle fonti, quindi deve essere condannato come un epidemiologo che, dicendo il falso sull’aviaria, ha determinato o allarme sociale o insufficiente profilassi».Di fronte alle manipolazioni ideologiche della storia, non dovrebbero aver timore di sporcarsi le mani gli storici, evidenziandone le strategie, obiettivi e, dando conto dei risultati della propria ricerca, seguire l’esempio di Antonio Gramsci quando sostenne: «preferisco ripetere una verità già conosciuta, al cincischiarmi l’intelligenza per fabbricare paradossi brillanti”e definì l’attività di storico come «interprete dei documenti del passato, di tutti i documenti, non solo di una parte di essi», dunque correre in aiuto a Clio, la musa ispiratrice degli storici, il cui disagio dipende unicamente dal silenzio.
La Legge di Divieto (Verbotsgesetz, VG) - Sarà punito chi, attraverso la stampa, la radio o con altri mezzi, o ancora chi pubblicamente in qualsiasi maniera fruibile da più persone, neghi, minimizzi grossolanamente, approvi o cerchi di giustificare il genocidio da parte dei nazionalsocialisti o gli altri crimini nazionalsocialisti. Così recita l’articolo 3, comma h, della Verbotsgesezt austriaca, legge di grado costituzionale emanata nel 1945, ampliata nel 1947 e rinnovata durante il Governo Vranitzky nel 1992. Lo stesso testo lo troviamo in Belgio e con il medesimo valore esistono in Europa: la Loi Gayssot in Francia e la Strafgesetzbestimmung in Germania, simile è l’articolo 261bis del Codice penale svizzero ed il Consiglio d’Europa ha recentemente proposto, con un analogo significato in chiave antirazzista, un protocollo addizionale alla Convenzione internazionale sulla cyber-criminalità ad oggi entrato in vigore in sette paesi dell’Unione.
David Irving (24 marzo 1938, Hutton, Essex, GB) Inizialmente studente di fisica all’Imperial College di Londra, dove collabora a giornali studenteschi, lavora per un periodo nella zona della Ruhr ed in Spagna. Nel 1962 scrive sui bombardamenti alleati per il giornale di destra «Neue Illustrierte» di Colonia, materiale usato per la pubblicazione nell’anno successivo di The destruction of Dresden. Dopo volumi dedicati agli armamenti tedeschi ed alle responsabilità britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale, con il materiale documentale messogli a disposizione, dal 1972 inizia a compilare biografie di nazisti quali Gehlen, Milch, Rommel ed i due volumi su Hitler: Hitler’s war (1977) e The war path (1978). Giudicato simpatizzante nazista, decide di occuparsi delle ricerche per una biografia su Churchill, ma visto lo scarso successo torna nel 1989 a dedicarsi ai gerarchi nazisti con una biografia di Göring. Tra il 1977 e il 1988 le sue idee sull’olocausto cambiano drammaticamente poggiando sull’inesistenza di documenti che parlino della Endlösung. A metà degli anni Ottanta è socio dell’Institute for Historical Review, dà conferenze per gruppi di estrema destra quali la Deutsche Volksunion e nega pubblicamente lo sterminio di massa ebraico da parte nazista. Nel 1988, «convinto”dal rapporto Leuchter sull’inesistenza delle camere a gas, testimonia a favore del negazionista Ernst Zündel sotto processo in Canada e nel 1991 rivede l’edizione di Hitler’s war togliendo i riferimenti all’olocausto. Nel 1994 parla ad un evento patrocinato dall’organizzazione neo-nazista Liberty Lobby e nel 1998 querela per diffamazione, con esito negativo, la Penguin con D. Lipstadt, autrice di Denying the Holocaust dove è designato come negazionista. Dal 1989 è interdetto prima dall’Austria, poi da Germania, Stati Uniti, Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda. Arrestato l’11 novembre ad Hartberg in Stiria, dove presenziava ad un raduno dell’Associazione studentesca politico-goliardica di estrema destra Olympia, è condannato il 20 febbraio a 3 anni di carcere.

Bibliografia in italiano
Apocalisse a Dresda. I bombardamenti del febbraio 1945, traduzione di Aldo Rosselli, Milano, A. Mondadori, 1965, 361 p.
Le armi segrete del terzo Reich, traduzione di A. Piva, S. Vertone, Milano, A. Mondadori, 1968, 443 p.
Il convoglio della morte, a cura di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, traduzione di Enzo Peru, Milano, A. Mondadori, 1969, 376 p.
La pista della Volpe, traduzione di Francesco Saba Sardi, Milano, A. Mondadori, 1978, 520 p.
La guerra tra i generali, traduzione di Gaetano Salinas, Milano, A. Mondadori, 1981, 487 p.
Ungheria 1956. Rivolta di Budapest, Milano, A. Mondadori, 1982, 473 p.
Göring. Il maresciallo del Reich, traduzione di Roberta Rambelli, Milano, A. Mondadori, 1989, 715 p.
La guerra di Hitler, traduzione di Mario Spataro, Roma, Settimo sigillo, 2001, 1000 p.
Norimberga. Ultima battaglia, traduzione di Mario Spataro, Roma, Settimo sigillo, 2002, 447 p.
Il piano Morgenthau. 1944-45, un genocidio mancato. Come per vendetta, per lucro e per facilitare l’espansione comunista in Europa si tentò di sterminare il popolo tedesco, traduzione di Mario Spataro, Roma, Settimo sigillo, 2004, 312 p.
http://www.avvenimentionline.it/pdf/35_08-09-2006.pdf - pp. 72-74

giovedì 19 aprile 2007

lode al cavaliere

Il mio blog è uno spazio libero, aperto agli apporti esterni, a quanto di interessante mi cade sotto agli occhi. Questa lode al Cavaliere mi ha colpito per la sua ironia, per il linguaggio, che mescola immagini 'alte' che denotano la cultura di chi scrive ed invettive di sapore popolare.
Ringrazio la mia cara amica di chat discernimento per avermi concesso la possibilità di postarlo.
Grazie, Sofia.




LODE AL CAVALIERE
Un filantropo? Un asceta? Un Ghandi incompreso? Un salvatore della Patria e dell’umanita? Un giustiziere della notte? Forse un comunista?Lode al cavaliere senza macchia e senza paura, lode all’imbonitore di folle di mercati rionali, lode al giullare di corte, lode all’animatore barzellettiero di crociere annoiate, lode al distributore di culi e tette televisive…Lode a te, per aver trasformato questa terra di santi, navigatori e poeti in un paese di ricchi inutili, poveri illusi e furbi di turno. Oh .Berlusca, plagiatore del Pinguino di Bathman, ti innalzerò sugli altari come il Dio Priapo, Oh Urano, mangiatore dei tuoi figli..S.Chiara protettrice della televisione, si rivolta nella tomba. Vicino a te il colore nero è tornato degno di onore. Lode al Berlusca…principe macchiavellico dell’inganno, mistificatore e narcisista, compratore di governi a basso prezzo, cultore del nulla…Vorrei che ci fossero guardiani dei sogni più attenti, affinché i desideri megalomani di piccoli uomini, non diventino incubi per l’umanità..Oh dei, fermate questo vuoto che avanza, questa cultura dell’effimero e del superfluo, questa melma putrefatta che infanga il viver civile, che toglie voce alla saggezza e innalza i mediocri… Poveri di tutto il mondo unitevi e ficcatelo in culo all’universo infinito e per favore fategli male, affinché comprenda, una volta per tutte, il disperato vivere dei diseredati della terra, la crudeltà inutile della guerra, la spaventosa barbarie della fame…Sto andando a Casablanca…un cazzo in più potrebbe farvi comodo…Amen Un abbraccio
Sofia

ideologie, riformismo e rivoluzione

Un po' di politica, un po' di autobiografia, sull'onda del ricordo.
Quando ero un giovane dissennato, ritenevo che lo studio della filosofia della politica (ohibò!) avrebbe potuto avere una parte importante nella mia vita. Perciò un giorno, un po’ per gioco, un po’ per vanagloria boriosa da studiosello dilettante, elaborai una sorta di “griglia” che potesse contribuire a classificare ed “incasellare” le ideologie secondo concetti generali. Una operazione probabilmente neppure originale, ma che a me fece l’impressione che deriva (immagino) da una grande scoperta scientifica.
In questa “griglia”, dunque, distinguevo le ideologie secondo: a) i moventi in i. descrittive (a seconda che cristallizzino in teoria una prassi in vigore); prescrittive (quando delineano un mondo in divenire o come si vuole che divenga) e di crisi (nate, cioè, da una rottura degli equilibri storici, politici, culturali, ideologici ecc. vigenti); b) la collocazione, rispetto al sistema politico – ideologico vigente al loro sorgere in i. sistemiche ed anti sistemiche; c) i contenuti, distinguendo le i. classico – razionali da quelle romantico – spirituali; e d) secondo il territorio, laddove l’elaborazione ideologica fosse nazionale o ultra nazionale. In soldoni, per comprendere il discorso con esempi, il fascismo – alla stregua dei criteri suesposti – poteva essere definito una ideologia di crisi, anti sistemica, romantico – spirituale e nazionale. Il comunismo era invece un sistema ideologico prescrittivo, anti sistemico, classico – razionale e ultra nazionale. Il socialismo liberale, per portare un esempio meno noto, sarebbe da considerarsi una ideologia di crisi, sistemica, classico – razionale ed ultra nazionale. Ovviamente il gioco funziona solo se ai termini che connotano le ideologie non si danno significati di valore o disvalore, ma li si considera assiologicamente neutri, come se fossero criteri naturalistici.
A più di dieci anni di distanza, questo giochino mi è tornato in mente. Stavo cercando di trovare una coerenza nel mio piccolo percorso politico – ideale che, dalle posizioni originarie (il mio primo voto andò, pensa tu, al PLI!), mi ha portato molto più a sinistra di quanto potessi credere.
A sinistra dopo il crollo del comunismo, a sinistra in un’epoca nella quale sono di moda le “terze vie”, i riformismi, la post socialdemocrazia.
Lo scrittore Pitigrilli diceva che “si nasce incendiari e si muore pompieri”, riferendosi a tante parabole di accesi rivoluzionari divenuti altrettanto accesi conservatori. Come mai io, nato pompiere, mi sento sempre più (spesso mio malgrado) un po’ incendiario?
Dall’esperienza di questi ultimi anni ho tratto l’impressione, spesso ahimé confermata, che il riformismo abbia bisogno, per la sua sopravvivenza, di una forte sinistra antagonista che faccia da stimolo, da pungolo e contraltare, altrimenti si isterilisce in una prassi di gestione del quotidiano non nutrita da ideali. Un riformismo senza sinistra comunista nei confronti del liberismo esasperato finisce per essere un viaggiatore che, anziché prefiggersi di giungere ad una meta con l’aereo, vuole arrivarci in bicicletta. Insomma, la destinazione è sempre la stessa, cambia solo la velocità con la quale ci si arriva.
Questo aspetto è quotidianamente sotto i nostri occhi: non occorre alcun particolare esempio per comprendere la sterilità ed inefficacia di tante ricette suggerite per alleviare la povertà di milioni di abitanti nei paesi in via di sviluppo e delle centinaia di migliaia escluse dalla ‘società dei 2/3’.
Se, nel fondo del mio cuore, mi sento un riformista (ma non nello svilito significato che ora si attribuisce a questa parola di ‘moderato pavido’), la situazione attuale mi spinge a farmi rivoluzionario.
Una bella beffa per chi, quando militava nella FGCI, veniva indicato affettuosamente (almeno spero!) come “il socialdemocratico” o “il socialista”. Ma tant’è. A volte non è importante il percorso che si segue, ma la chiarezza della meta finale.

mercoledì 18 aprile 2007

Islam: confronto o scontro?

Questo post venne scritto in un ambito cronologico ben determinato e lo ripubblico senza revisioni, visto che lo ritengo tuttora attuale nei suoi temi. Mi spiace constatare che, ad oggi, i termini del dibatitto sul contrasto al terrorismo non sono usciti dal sentiero stretto della guerra preventiva. Neppure la sinistra, al di là della legittima opposizione a questo schema, ha proposto credibili alternative. Questo è il mio maggior rammarico.


Dopo qualche mese dalle stragi di Londra e Sharm al Sheik e con il tragico stillicidio quotidiano di attentati in Irak, è il momento di alcune riflessioni “a bocce ferme” sul terrorismo islamico.
Anzitutto una dichiarazione di principio: gli assassini non sono giustificabili in alcun caso. Tuttavia comprendere un fenomeno non significa giustificarlo, ma armarsi di strumenti intellettuali e materiali per contrastarlo efficacemente.
A tal proposito occorre ripetere e ripetersi che non vi è alcun rapporto di identificazione tra religione mussulmana e terrorismo islamico. Il rapporto è, semmai, di derivazione e di degenerazione: allo stesso modo in cui il fenomeno brigatista rosso fu una degenerazione derivata dal marxismo leninismo.
Fino agli anni settanta dello scorso secolo i capi di stato dei paesi arabi, pur non rinnegando il loro credo religioso, avevano sovente una forte ispirazione laica: Nasser e Sadat in Egitto, Bourghiba in Tunisia, Assad in Siria, i leader del Baaht in Irak, lo Scià in Iran, e via seguitando. Anche gli attentati compiuti dalle organizzazioni palestinesi non avevano alcun richiamo religioso, ma erano perpetrati al solo fine di costituire uno stato palestinese ed annientare la presenza israeliana.
Per quale motivo nel giro di pochi anni la componente fondamentalista dell’Islam ha preso piede in quasi tutto il mondo arabo e mussulmano?
Ritengo che la crescita del fondamentalismo islamico sia in parte riconducibile alla scelta di quei regimi (condivisa ed incoraggiata dall’occidente) di reprimere al loro interno le componenti democratiche e di precludere i tradizionali spazi di crescita alla società civile, lasciando quale spazio di (relativa) libertà la moschea. Solo all’interno della moschea le masse arabe hanno trovato un luogo di libera espressione: tuttavia quel residuale spazio di libertà lasciato da regimi autoritari ha partorito un’ideologia i cui capisaldi sono la riprovazione verso i governanti e l’odio per un occidente ateo, materialista e consumista, fiancheggiatore di quelle dittature tanto detestate, convincimenti sostenuti da un’interpretazione religiosa estremizzata.
Ogni religione (compreso il cristianesimo) ha la sua componente integralista: quella mussulmana, oltre ai fattori accennati, si è fortificata grazie anche all’indubbia suggestione esercitata dalla creazione di uno stato islamico (l’Iran), alle ingentissime risorse finanziarie messe a disposizione da singoli, gruppi organizzati e stati, all’esistenza di cause ampiamente condivise, quale quella palestinese, ed alla rabbia derivante dalla visione del crescente divario con l’occidente.
Quale lezione si ricava allora dalle esperienze fin qui vissute? In primo luogo non sono la repressione interna e la “guerra preventiva” esterna le risposte valide al terrorismo: la prima non può assicurare vigilanza totale su tutti i potenziali obiettivi “sensibili”. La seconda ha creato in Irak un sistema che non può definirsi né democratico né liberale, in quanto non è in grado di assicurare ai suoi cittadini neppure il bene essenziale della vita: al più si tratta di un embrione di istituzioni che, un giorno, forse, si svilupperà in una democrazia, se non sarà travolto dallo smobilizzo delle truppe statunitensi.
Ritengo che sia più incisivo combattere il terrorismo sotto il profilo del lavoro di intelligence di caccia ai flussi internazionali di denaro che lo finanziano ma soprattutto con la costruzione di percorsi di mediazione culturale tra oriente ed occidente e di sostegno alle componenti moderate dell’Islam.
Percorsi che possono e debbono partire dagli enti locali nei confronti degli immigrati: per favorirne l’integrazione nelle realtà che li accolgono ed il rispetto per usi, costumi ed istituzioni di queste, ma anche per “formare” dei mediatori culturali in grado di rivendicare nelle loro realtà di origine l’esportazione dei modelli democratici dell’occidente.

Ai miei figli, con immenso amore

Il mestiere di genitore, si sa, nessuno lo insegna. Esistono dei manuali, un’esperienza pregressa di figlio cui aggrapparsi, ma non tutto torna utile al caso di specie, alla personalità del proprio figlio.
Per quanto mi riguarda, mi ha sempre colpito e fatto riflettere – al punto di ritenerne un’assoluta utilità pedagogica -à il racconto biblico della creazione dell’uomo e della sua successiva cacciata dall’Eden (Genesi, 2, 8 -17 e 3).
La vicenda é troppo nota per ripercorrerla integralmente: basti ricordare che Dio ammonisce Adamo con queste parole: “Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dall’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che ne mangerai certamente morrai”.
Dio, appunto, ammonisce: lascia che l’uomo scelga del suo destino, dopo avergli indicato la strada che ritiene opportuno che questi percorra. Avrebbe potuto operare diversamente, ponendo – ad esempio – un cherubino con la spada fiammeggiante a guardia dell’albero, esattamente come dopo la cacciata dall’Eden.
La libertà lasciata ad Adamo, all’uomo, lo perde; la scelta che questi compie si rivela deleteria. Ma è, per l’appunto, una scelta, non una costrizione esterna.
Dalla tragedia della cacciata dall’Eden, tuttavia, nasce la storia della salvezza: essa parte dall’elezione e culmina nella liberazione dal peccato e nella salvezza annunciata da Gesù.
In questo senso la Bibbia può leggersi anche come un romanzo di formazione: non di un singolo uomo, ma dell’umanità intera.
Mi auguro di aver sempre la forza di lasciare ai miei figli la libertà e dignità di scegliere, ma soprattutto di dar loro la capacità di scegliere per il bene.
Un bene imposto dai cherubini con la spada fiammeggiante lascia il tempo che trova e non li completa nella loro umanità.

Il Vaticano ficcanaso

Il bello (o il brutto) dell'Italia è che i temi hanno una ciclicità nauseante, quindi - una volta elaborata una riflessione - ci si può campare di rendita. Questo post fu scritto in occasione del refendum sulla fecondazione assistita, ma potrebbe attagliarsi all'attualità, soprattutto al dibattito sui DICO / PACS.

La posizione assunta dai Vescovi nei confronti della prossima consultazione referendaria impone qualche riflessione.
La CEI, mediante l’emanazione di documenti ed i pronunciamenti di suoi autorevoli membri, ha invitato gli elettori ad astenersi sui referendum, al fine di evitare il raggiungimento del previsto quorum.
Proviamo ad immaginare un diverso scenario: un partito (o una coalizione) con meditati interventi pubblici di suoi esponenti e documenti rilanciati dai mass media, invita i cattolici a disertare le chiese per vari motivi (ad esempio perché viviamo in una società ormai secolarizzata, perché la Chiesa ha tradito il messaggio di Cristo, perché è opportuno vivere la spiritualità in una dimensione privata ecc.).
Immaginate il putiferio che si solleverebbe (giustamente). Eh, si, perché una pronuncia di tal genere costituirebbe un’interferenza illegittima, assolutamente da combattere.
L’assetto delle società moderne (in particolare delle democrazie) non è monolitico, bensì complesso: non esiste più un unico ambito che comprenda in sé lo stato, la società, la religione, la cultura, l’arte ecc.
Viviamo in una realtà nella quale questi ambiti, per secoli indissolubilmente legati, vivono di vita propria, pur interagendo, scambiando reciprocamente, configgendo ecc.
Nell’antico Egitto, ad esempio, il Faraone era sommo legislatore, sommo sacerdote, depositario della cultura, canone dell’arte ecc.. Ancora nel medioevo la Chiesa cattolica dominava nella propria sfera, ma anche in quella culturale, politica, artistica ecc..
Oggi non è così: oggi i vari sottosistemi della società e della politica si tengono ben distinte, per quanto possono, rintuzzando le reciproche interferenze: pena un ritorno all’antico, ad uno stato – società totalizzante.
Per questo l’invito all’astensione della CEI è assolutamente inaccettabile: neppure la Chiesa Cattolica può indebitamente interferire con una sfera (quella politica) che non le appartiene direttamente.
Ben vengano le pronunce di dottrina, ben vengano le prese di posizione contrarie ai referendum, ben vengano le critiche - anche durissime - al fronte del si. Ma l’ordine di scuderia all’astensione no.
Non è, cari Vescovi, il Vostro campo da gioco, non è più il tempo dei non expedit, non è con le invasioni di campo che ci si confronta in democrazia.
Almeno lasciate ai politici cattolici la formulazione di (legittimi) inviti all’astensione: ma non sconfinate in orticelli che non sono vostri. Ciò anche perché date una pessima impressione di scollamento con i vostri tradizionali referenti politici: se non ve ne fidate neppure per questi bassi servigi, allora la crisi della rappresentanza dei cattolici in politica è ormai irreversibile.

In nome del Papa Re

Una provocazione, ovviamente...
W RATZINGER!!!

Come cristiano di fede evangelica, appartenente ad una denominazione “protestante” storica, certamente non potevo salutare con gioia l’ascesa (ampiamente prevista) al pontificato di Benedetto XVI.
Troppe cose separano il mio modo (e quello delle chiese evangeliche) di “sentire” i temi della fede, della morale, della vita ecclesiale, del rapporto tra fede e politica ecc. con il Pontefice tedesco.
Per la verità Ratzinger non ha sorpreso nessuno: si è esattamente pronunciato sui vari temi nei termini che generalmente erano stati pronosticati.
Eppure oggi, dopo un’attenta e seria riflessione, mi sento di dire, anzi di urlare: W Ratzinger.
Viva Ratzinger perché conduce una spietata campagna contro il relativismo, con tutto ciò che esso implica: il lassismo, il soggettivismo, la perdita del senso di appartenenza ecc.
La Chiesa Cattolica è forte: il cattolicesimo è il credo più professato.
Eppure si tratta di un colosso dai piedi d’argilla: il 95 % dei cattolici (quivi includendo anche una consistente parte del clero) crede, ma “ a modo suo”.
La chiesa di Roma è un contenitore immenso, nel quale stanno insieme le più contraddittorie posizioni: da fratelli cattolici ai quali ho detto più volte “ma perché non venite con noi?”, sino a gruppi che di cattolico o cristiano hanno ben poco, impregnati come sono di una comprensione della fede solo come magia o esorcismo.
Ma il filone principale è costituito da inconsapevoli vetero cattolici. I vetero cattolici sono quei cattolici che non hanno accettato i nuovi dogmi del Concilio Vaticano I (in particolare l’infallibilità del vescovo di Roma quando si pronuncia “Ex-Cathedra” su questioni di fede e morale) ed hanno fondato negli anni 1873-1888 delle chiese cattoliche giuridicamente indipendenti da Roma, con un’organizzazione ecclesiale democratica e posizioni teologiche e morali ben più aperte di quelle di Roma.
Orbene in Italia i vetero cattolici ufficiali sono solo 300: ma la schiera di quelli inconsapevoli ne annovera milioni.
Quanti sono i cattolici che della chiesa di Roma assumono solo le posizioni che gli fanno comodo oppure quelle che non confliggono con la propria vita quotidiana? Tutti (o quasi)!!!
Le altre pronunce in tema di morale e/o fede? Bhe, insomma, si, ecco, ma non è che poi siano così importanti! Il Papa dice di non usare contraccettivi? Ma i papa boys e le papa girl, che giustamente fanno sesso insieme allegramente col preservativo, si sentono cattolici coerenti quando vanno ad acclamare “B16”!
Il matrimonio è sacramento indissolubile? Ma mia moglie è una tale rompicoglioni o mio marito un tale stronzo! E via seguitando.
E no, signori miei! Basta così! La fede è un percorso irti di rischi e pericoli. Se per nascita o convinzione appartenete alla chiesa cattolica, siete tenuti ad adeguarvi alla morale ed alla fede che essa predica. Non si può prendere solo ciò che piace del messaggio papale: troppo comodo.
Perciò viva Ratzinger quando con durezza ribadisce le posizioni ecclesiali e ne chiede la piena osservanza.
Ma se volesse il mio plauso incondizionato, allora “B16” dovrebbe affacciarsi dal mitico balcone e fare un discorso di questo tenore: “Mie care sorelle, miei cari fratelli, le posizioni in materia di sesso, morale e fede sono inderogabili per i cattolici. Sappiate che ci sono tante belle chiese cristiane sorelle dove il clero può sposarsi, gli omosessuali liberamente praticare la propria tendenza, i fedeli divorziare senza difficoltà e/o usare i contraccettivi quando meglio gli aggrada, finanche abortire! Allora, per cortesia, quelli che non intendono seguire la linea che io detto ex cathedra, sono pregati di accomodarsi in quelle chiese, perché di loro non abbiamo bisogno. Poi, se dovessero cambiare idea, saranno i benvenuti”.
Un discorso simile di certo non lo sentiremo mai: ma quelli come me che ne hanno le palle piene di cattolici che “credono a modo loro” non possono non vedere nel pontificato Ratzinger un richiamo alla serietà in una chiesa che è diventata un carnevale dove ogni scherzo vale.

Referendum, frenetica passion

Democrazia diretta: che bella cosa. Nella nostra costituzione il referendum ne é l’espressione principale. Ma, ultimamente, l’eccesso di referendum ha ucciso il referendum. Ora la consultazione referendaria torna nell’agenda della politica. Ferma restando l’importanza del tema (riforma elettorale) esistono delle alternative???
Essendo questo un vecchio post del mio precedente blog, la riflessione non tiene conto delle bozze 'Calderoli' e 'Chiti', che io peraltro ritengo pessime.


E così, ancora una volta, anche se un po’ in sordina, s’avanza la “gioiosa macchina da guerra” referendaria.
L’obiettivo dei referendari, stavolta, è la parziale modifica del sistema elettorale in vigore (detto, da Sartori, il porcellum, dopo la sortita di Calderoli, suo ideatore e padre che lo definì “una porcata”), mediante l’attribuzione del premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito e l’abolizione della possibilità di candidature multiple “civetta” nei vari collegi.
Sono anni che, periodicamente, ci misuriamo con consultazioni referendarie. A volerle ripercorre tutte, gira la testa: il turbine di campagne elettorali e di tematiche proposte al cittadino diventa vertiginoso.
Renato Mannheimer, dopo il mancato conseguimento del quorum agli ultimi referendum sulla procreazione assistita, dimostrò – con una serie di argomenti assolutamente condivisibili, ma che ora non rammento uno per uno – come sia difficile, se non impossibile, raggiungere il quorum in una consultazione referendaria.
Perciò, di fronte all’uso pervicace ed inconsulto dello strumento referendario, non si può che restare sbalorditi ancora una volta. Lo stupore, poi, cresce soprattutto quando al vorace cittadino – elettore viene proposto un quesito su un tema quale la riforma elettorale importantissimo sì nelle sue implicazioni, ma che l’elettore (giustamente) percepisce come di competenza degli eletti lautamente retribuiti e non sua personale. Certo si potrebbe rispondere che il movimento promosso da Mario Segni riuscì a conseguire due volte il risultato clamoroso di superare il quorum. Verissimo: ma quegli anni, seppur vicini cronologicamente, sono psicologicamente lontanissimi: i sentimenti e risentimenti che condussero i cittadini alle urne, la battaglia di fedi contrapposte che si creò intorno ai quesiti, la volontà di trovare una via di uscita al disfacimento in atto della prima repubblica e, perché no, il decisivo contributo di Craxi che invitò bruscamente all’astensione (“Tutti al mare”) non sono più ripetibili.
A ciò aggiungasi una considerazione: il gioco non vale la candela. Il sistema elettorale in vigore è assolutamente scadente ed orrendo, una disgrazia abbattutasi tra capo e collo sul paese, nato dall’esclusiva volontà dell’ex Polo delle ex libertà di ingessare lo status quo e contenere i margini della prevista sconfitta. Orbene, una donna orribile non diventa più bella aggiungendo o togliendo qui e lì un accessorio o un po’ di silicone.
Perciò ben farebbero i propugnatori di una riforma elettorale ad accantonare i propositi referendari, destinati inevitabilmente a concludersi con un insuccesso, l’ennesimo della serie.
Mi si potrebbe obiettare: il referendum è uno strumento di pressione per costringere le coalizioni a sedersi intorno ad un tavolo e partorire un sistema elettorale più decente. Poi, laddove tale tentativo fallisse, la mobilitazione dei cittadini resterebbe l’extrema ratio. Benissimo. Tuttavia faccio sommessamente osservare che dal 1995 si sono susseguite tante e tali proposte di riforma (riforma di cui è stata officiata, tra gli altri compiti, persino una commissione Bicamerale) e non si è pervenuti a nulla. Chi volesse un esauriente ed esaustivo quadro d’assieme su tale problematica legga il volume Mala tempora, di Giovanni Sartori, che raccoglie gli interventi dell’illustre politologo su quotidiani e periodici dal 1994 al 2005: un’intera sezione è dedicata alle proposte di riforma elettorale succedutesi nel tempo.
E allora, ecco una modesta proposta ai referendari: posto che il fine della riforma elettorale sia desiderabile e che erroneo sia il mezzo con il quale lo si vuole conseguire (il referendum, appunto), perché non cambiare metodo? In sintesi: una volta raggiunto un accordo nel comitato promotore su un sistema elettorale, perché non sottoporre lo stesso al giudizio dei cittadini mediante la raccolta di firme per un disegno di legge di iniziativa popolare? Pensateci bene, amici referendari: un milione di firme (mettiamo) raccolte sul sistema elettorale x sono una massa critica di cui parlamento e governo non possono non tener conto e, se l’ignorano, faranno i conti con ognuno di quel milione di firmatari. Un movimento trasversale per un sistema elettorale può porsi obiettivi a lunga scadenza che trascendano il limitato orizzonte temporale referendario e può costituire l’embrione di una nuova aggregazione politica o associativa.
Invece cinque milioni di voti (poniamo) che non servano a raggiungere il quorum referendario sono uno smacco per il movimento promotore, un dispendio per le tasche dei cittadini ed un utile alibi per parlamento e governo a ritenere inattuale e non prioritaria la questione ed accantonarla.

Il mercato: come sopravviverne

Una incursione su tematiche più ampie del consueto (mercato, globalizzazione ecc.), alcune delle quali non rientrano tra le mie precipue conoscenze. Gli eventuali lettori mi perdonino (magari segnalandomele) inesattezze ed imprecisioni ed apprezzino le buone intenzioni.



Di cosa parliamo quando parliamo di economia di mercato? Quali sono i compiti ed i limiti di una tale struttura? Fermiamo un concetto fondamentale: il mercato è il luogo (fisico o immateriale) nel quale vengono prodotti o scambiati beni e servizi. Produzione e scambio: ecco i compiti fondamentali del mercato. Ciò chiarito, sarà molto semplice comprendere ciò che il mercato non fa: a) non attende alla redistribuzione della ricchezza prodotta (sia essa sotto forma di beni o di servizi); b) non pone limiti al consumo delle materie prime e delle risorse umane necessarie per la produzione e lo scambio.
In relazione al punto a) credo si possa concordare pacificamente. Salvo che agli entusiastici albori dell’economia capitalistica, oggi nessuno può realisticamente parlare di una capacità redistributiva del mercato, sia essa limitata ad una comunità o globale. Il mercato produce e scambia, non è in grado di ridistribuire alcunché.
Molto più attuale è il problema b): la percezione di vivere in un mondo finito, le cui risorse non sono illimitatamente sfruttabili per un numero n di individui, è entrata piuttosto di recente nella coscienza collettiva. Gli esperti non sono ancora concordi sui tempi (trenta, cinquanta o cent’anni) ma ci avvertono un giorni si e l’altro pure dicendoci: attenzione questo mondo finirà per esaurimento delle risorse.
Poste queste semplici premesse, non possiamo dimenticare che parlare di mercato significa proiettare il discorso in una dimensione globale. Ciò è vero per quanto riguarda la finanza, ma è sempre più vero (e lo è ogni giorni di più ) anche per le merci di uso quotidiano, di valore modico, la cui provenienza geografica remota è continua fonte di stupore.
In una dimensione puramente nazionale, la redistribuzione del reddito avviene su una duplice base: una volontaria, che potremmo banalmente chiamare beneficenza, l’altra coattiva, in forza della imposizione statuale, il cui fine precipuo sovente non è neppure la redistribuzione, ma che comunque ottiene – anche in misura limitata – un effetto in tal senso.

In un contesto globale squilibrato, nel quale 1/3 dell’umanità sostanzialmente consuma molto più dei rimanenti 2/3, non esiste un’entità sovranazionale preposta alla redistribuzione della ricchezza. I singoli stati si comportano in questo caso come i privati: fanno cioè beneficenza, sotto forma di prestiti, aiuti, progetti ecc., in ciò affiancati da privati.
Non esiste una redistribuzione obbligatoria ed istituzionalizzata da parte degli stati sovrani, né una fiscalità a tanto preposta. Anzi la c. d. Tobin tax (una tassa di scopo sulle transazioni finanziarie volta a finanziare progetti per il terzo mondo) è oggetto di più dinieghi che consensi da parte dei governi mondiali.
Pertanto, tra soggetti tutti superiorem non recognoscentes quali sono (in teoria) gli stati sovrani, politiche di redistribuzione concordata possono avere solo una fonte pattizia.
Ma un patto, per la sua natura negoziale e non coercitiva, non obbliga tutti necessariamente ad aderirvi. Vieppiù! Laddove non contenga efficaci sanzioni per la sua inosservanza, è un patto a metà, inefficace nella sua fase applicativa. Inoltre anche laddove tali sanzioni siano contenute nel testo dell’accordo, la loro applicazione può essere frenata dalle resistenze dei singoli stati chiamati a darvi concreta esecuzione.
Analogo è il discorso che può essere compiuto per la protezione dell’ambiente e la limitazione dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Sotto gli occhi di tutti è la vicenda del protocollo di Kyoto, nel quale si sono evidenziati i limiti di cui sopra degli accordi internazionali. Ma innumerevoli sono gli esempi di problemi di salvaguardia ambientale che si è cercato di regolamentare in ambito internazionale, dettando norme che tutelino ambienti o specie minacciate di estinzione, salvo poi constatare con amarezza che proprio i paesi maggiormente responsabili di questo o quello scempio sono coloro che si sottraggono agli accordi, ovvero vi aderiscono a condizione che gli stessi siano riscritti sino a svuotarli di senso.
L’esigenza che, pertanto, si impone è quella di un terzo, un governo sovra nazionale che detti pochi ma incisivi obblighi ai governi nazionali nelle materie sopra citate. Purtroppo anche oggi dobbiamo prendere atto dell’assenza di questo soggetto, analogamente a quanto constato in un ambito diverso (il problema della pace nell’era della guerra fredda) da Bobbio, il quale parlò di “terzo assente”.

L’ONU certamente, allo stato, non è in grado di svolgere tale compito. Non lo è per un problema di volontà politica dei suoi componenti, i quali sono senz’altro mal disposti a quelle cessioni di sovranità che dovrebbero dotare le Nazioni unite di strumenti atti a garantire il rispetto coattivo di norme coercitive.
Non lo è anche per limiti oggettivi di sensibilità e percezione politica: se il paese X continua, nonostante i moniti e le sanzioni, a distruggere il proprio ecosistema ed a compromettere quello planetario, chi assumerebbe la responsabilità di sanzionare o, alla peggio, rimuovere un governo nazionale?
Non lo è per carenza di strumenti, che dovrebbero spaziare dalla persuasione alla coazione e sono difficili da individuare; non lo è, ancora, per la presenza di una realtà “imperiale” quale quella costituita dagli USA, unica acclarata realtà di sovranità ultra nazionale emersa dalla fine della guerra fredda.
Ma se un “superstato” un arbitro, un “terzo assente” sono così indispensabili tanto da sembrare gli unici strumenti atti ad incidere efficacemente su alcune realtà globali, dobbiamo stracciarci le vesti per esserci arenati nelle secche della statualità globale oppure un’altra soluzione è possibile?
Si e no è la risposta, allo stato, possibile: realizzare un’entità sovrastatale è reso complicato dai problemi sopra assai sommariamente evidenziati. Ma, a fianco dello stato, sin dai suoi albori, esiste sempre un’altra entità, in conflitto più o meno scoperto con esso: la società.
Stato/società è una diade di termini confliggenti, in cui l’uno serve a definire in negativo l’altro (ossia lo stato, nell’ambito del jus publicum, è tutto quello che non è la società e viceversa). La filosofia politica, successivamente all’affermazione del concetto di stato – nazione, è colma di considerazioni e, talvolta, di drammatizzazioni, sul conflitto stato/società.
Orbene: se un “super stato”, sebbene teoricamente desiderabile non è praticamente attuabile (almeno rebus sic stantibus) è possibile una società globale con scopi comuni, che siano precipuamente quelli di ridistribuire le ricchezze del pianeta e preservarne le risorse?
Se per società si intende la totalità della società, ovviamente la risposta è no. Se invece si ha l’obiettivo più modesto ma realistico di aggregare un numero vasto di soggetti sensibilizzati o sensibilizzabili su certe linee guida, al fine di costruire nuovi stili di vita, orientare le varie espressioni di consenso verso partiti, movimenti ed associazioni sensibili alle tematiche ambientali, finanziare collettivamente micro e macro progetti per i paesi in via di sviluppo, insomma costruire una massa consapevole che abbia impatto sulle scelte del sistema politico ed economico, allora una società globale è possibile. E lo è tanto più in quanto si dispone di strumenti di comunicazione diffusi a livello di massa (internet ed i suoi corollari) che sino a dieci anni fa erano inimmaginabili quantomeno nella loro diffusione pervasiva.
Se poi il radicamento di determinati concetti investe diffusamente strati di opinione pubblica che, nei rispettivi ambiti (dal quartiere alla nazione) sono dotati di opinion leadership, allora si avrà quel c. d. “effetto a cascata” su altre classi sociali, magari meno avvertite su tali problemi, di cui parlava Kornhauser. Si tratta di un progetto ambizioso e non meno irto di difficoltà della costruzione di una realtà sovrastatale, ma che offre il vantaggio di potersi valere di una indeterminata pluralità di mezzi.
I nemici, tuttavia, sono tanti: i meccanismi di omologazione della società di massa, le rassicuranti bugie delle corporation, la disinformazione imperante o, meglio, la capacità dei media di polarizzare l’attenzione su alcune tematiche, distogliendo da altri, dettando insomma l’agenda. Poi vi sono le esemplificazioni da combattere: la peggiore delle quali è a mio avviso la dizione comunemente accettata per designare un movimento di idee che è “no global”. Lo scrivo tutto in maiuscole, affinché il concetto sia chiaro e non sfugga: PROBLEMI GLOBALI RICHIEDONO SOLUZIONI GLOBALI, ed i problemi con i quali ci scontriamo sono globali. Combattere l’orrenda globalizzazione imposta dalle grandi imprese, svelare il marcio che i lustrini dei vari brand coprono, rivelare l’origine e la natura criminale di moltissimi business apparentemente impeccabili, esaltare le specificità locali quali mezzi per la conservazione delle risorse naturali, rivendicare diritti per tutti gli abitanti della Terra e non solo per alcuni, sono solo alcuni aspetti di una globalizzazione che potremmo definire solidale, antagonista, alternativa o come meglio aggrada.
Non sappiamo se le logiche di mercato quali noi conosciamo siano reversibili o se ormai abbiano vinto. Ma possiamo e dobbiamo tentare. Non abbiamo che da perdere le nostre catene e quelle di chi, meno fortunato di noi, ogni giorno muore per produrre materie prime e beni di consumo per la parte più ricca del globo. Perché nascere “altrove” non sia più un peso pari al peccato originale che non si è commesso.
Sanità? Roba da comunisti.
Il viaggio della speranza di un gruppo di newyorkesi

La nuova provocazione di Micheal Moore é chiara: la sanità pubblica cubana è migliore di quella degli Stati Uniti Oltre ad essere gratuita è infatti più efficace, efficiente e considerata uno dei poli di eccellenza nel mondo per la cura di alcune malattie. Il paragone è con il sistema americano, fondato su una sanità privatizzata, ostaggio delle multinazionali e delle case farmaceutiche, che riserva le cure migliori solo a chi può permettersele. E il confronto viene portato avanti non da un gruppo di persone qualsiasi ma da alcuni degli ormai tristemente famosi soccorritori dell'11 settembre, ammalatisi in seguito all'inalazione dei gas sprigionatasi dai crolli. Nel prossimo film-documentario di Moore queste persone si sono recate all'Havana, violando l'embargo che proibisce ai cittadini Usa questo tipo trasferte anche se evidentemente “miracolose”, per sottoporsi a cure innovative che hanno avuto notevoli risultati. Il regista vincitore al festival di Cannes 2004 tocca l'ennesimo tema scottante degli Stati Uniti, la sanità, mediante una controversia che di recente è tornata ad investire le prime pagine dei giornali statunitensi. la denuncia fatta da oltre 9 mila newyorkesi, affetti da gravi patologie polmonari e gastriche contratte l'11 settembre, contro le autorità per non aver reso noto quale fosse la “qualità” dell'aria. Su questa vicenda è stata aperta un'inchiesta portata avanti dalla sottocommissione al Senato a cui capo c'è Rudy Giuliani, in corsa per le elezioni del 2008. Insomma i soliti panni sporchi che però negli Stati Uniti riguardano circa 45 milioni di persone prive di un'assistenza sanitaria adeguata, nel paese – si dice – più ricco ed evoluto del mondo.
Si ringrazia il carissimo fratel compagno Eskimo per aver postato questa notizia su wonderful world :)

martedì 10 aprile 2007

8 x 1000 ai valdesi - Appello di Micromega


Di fronte all’offensiva clericale volta a limitare irrinunciabili libertà e diritti civili degli individui (che andrebbero invece decisamente ampliati), e alla subalternità e passività dello Stato nelle sue istituzioni parlamentari e governative, benché non credenti in alcuna religione, in occasione della dichiarazione dei redditi invitiamo tutti i cittadini democratici a devolvere l’otto per mille alla Chiesa Evangelica Valdese che le libertà e i diritti civili degli individui ha sempre rispettato e anzi promosso, e che si è impegnata ad utilizzare i proventi dell’otto per mille esclusivamente in opere di beneficenza e non a scopo di culto o di sostegno per i ministri e le opere della propria confessione religiosa.
Per sottoscrivere: appellolaico@micromega.net
Firmatari:
Paolo Flores d’Arcais, Umberto Eco, Margherita Hack, Vasco Rossi, Giorgio Bocca, Simone Cristicchi, Andrea Camilleri, Dario Fo, Michele Santoro, Oliviero Toscani , Franca Rame, Ferzan Ozpetek, Lidia Ravera, Umberto Galimberti, Lella Costa, Luciano Canfora, Bernardo Bertolucci, Mario Monicelli, Eugenio Lecaldano, Gennaro Sasso

venerdì 6 aprile 2007

presenze mafiose

Il testo che segue venne redatto in occasione di una consulenza resa alla Commissione speciale Anticamorra istituita presso la Regione Campania. Senza pretendere di essere esaustivo, affronta la problematica dello scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose. Stante la gravità ed attualità del tema, ritengo utile condividerlo con eventuali visitatori di questo blog.
§ 1 Cenni storici.
Nell’ordinamento giuridico italiano, a dispetto della diuturnità del problema[1] le norme che disciplinano l'intervento antimafia negli enti locali sono relativamente recenti.
La legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, all’art. 39 prevedeva lo scioglimento dei consigli comunali a) in caso di atti contrari alla Costituzione o b) per gravi e persistenti violazioni di leggi, nonché c) per gravi motivi di ordine pubblico (all. 1), non contemplando la fattispecie di infiltrazioni mafiose.
Solo il D. L. 31 maggio 1991, n. 164, intervenne per colmare la lacuna normativa, aggiungendo l’art. 15-bis alla L. n. 55 del 1990 (all. 2).
La cennata norma introduceva un’ipotesi di scioglimento nuova rispetto a quelle previste dalla legge sulle autonomie locali promulgata nel 1990.
L’art. 15-bis L. n. 55/1990 disponeva che i consigli comunali e provinciali potessero essere sciolti quando, in seguito all’esercizio dei poteri ispettivi del Prefetto, fossero accertati elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori tali da compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
Detto provvedimento, altresì, introduceva una tutela cautelare interinale conferendo, al comma 5, al prefetto il potere di sospendere, in attesa del decreto di scioglimento, “gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell'ente mediante invio di commissari” per il termine di sessanta giorni (art. 15-bis L. n. 55/1990).
Attualmente la materia è disciplinata dagli artt. 143 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), che riprende la previsione dell'articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, alla cui lettura integrale si rimanda (all. 3).

§ 2 La procedura di scioglimento.
Alla stregua del disposto normativo dell’art. 143 co. 2 T. U. Enti locali, il procedimento di scioglimento di un’amministrazione comunale o provinciale “è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni”. La norma fa espresso richiamo ai poteri già attribuiti all’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, poi devoluti al Ministero dell’Interno dal 01.01.1993, poteri che il Viminale è facultato a delegare ai Prefetti, alla D.I.A. o ad altri organi di Pubblica Sicurezza.
Alla relazione prefettizia, nel caso di riscontro di elementi che integrino gli estremi dello scioglimento (collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, come elencati dal comma 1 dell’art. 143 T. U.) segue l’emanazione, da parte del Presidente del decreto che dispone lo scioglimento dell’Ente. Tale decreto viene emanato dal Capo dello Stato su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Il suddetto decreto viene trasmesso contestualmente alla sua emissione alle Camere e conserva i suoi effetti “per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali” (art. 143 co. 3 T. U.) e viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Finalità precipua dell’istituto dello scioglimento è quella “di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati”.
Nel decreto di scioglimento viene contestualmente nominata “una commissione straordinaria per la gestione dell'ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso” (art. 144 T. U.). Tale commissione è composta di tre membri “scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza” (art. 144 T. U.) La stessa permane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.
Avverso il decreto di cui all’art. 143 T. U. è ammessa tutela giurisdizionale dinanzi all’A. G. A., da esercitarsi nelle forme ordinarie (ricorso al TAR in prime cure ed eventuale, successivo, ricorso al Consiglio di Stato).
Legittimati attivi nel giudizio sono i componenti degli organismi disciolti, mentre i legittimati passivi sono la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro degli interni, il prefetto della provincia di appartenenza dell’ente sciolto, la Gestione straordinaria dello stesso e l’Ente.

§ 3 Problematiche derivanti dall’applicazione della norma. L’elaborazione della giurisprudenza costituzionale.
I. A pochi mesi dall’entrata in vigore delle norme che modificavano la legge sulle autonomie locali del 1990, con due distinti decreti del Presidente della Repubblica del 2 agosto 1991 vennero sciolti per infiltrazioni mafiose i consigli comunali di Taurianova (RC) e di Casandrino (NA). A tali scioglimenti sono seguiti numerosi altri.
Il ricorso diffuso all’A. G. A. da parte degli amministratori “sciolti” ed il dibattito nelle varie sedi politiche hanno fatto emergere le problematiche e le criticità sottese alle norme in esame.

II. Con propria dettagliata e motivata ordinanza (n. 681/1992, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992) emessa in data 8 luglio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, venivano sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale alcune motivate censure di legittimità costituzionale dell'art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 (all. 2).
In sintesi, il Tribunale amministrativo regionale ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale della norma indicata, in quanto:
a) consente di attribuire rilevanza a "collegamenti indiretti" di taluni
amministratori con la criminalità organizzata;
b) prevede lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti - nel senso detto - riguardanti soltanto alcuni amministratori;
c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi.

III. Quanto al profilo sub lettera a), il TAR Lazio riteneva che la norma impugnata si caratterizzasse per un minore grado di spessore probatorio richiesto come presupposto dello scioglimento (i "collegamenti" con la criminalità organizzata), rispetto agli elementi richiesti sia per il promovimento dell'azione penale sia per l'adozione della misura preventiva.
Tale statuizione si palesava difforme rispetto al quadro normativo all’epoca vigente (art. 40 L. 142/90) per la sospensione e rimozione degli amministratori degli enti locali (il cui presupposto era l’imputazione di un reato previsto dalla L. 646/82, che istituiva il reato di associazione di tipo mafioso o la sottoposizione a misura di prevenzione o a misura di sicurezza), ovvero per la sospensione obbligatoria degli amministratori degli enti locali, a norma dell’art. 15 L. 55/90, il cui presupposto era la sottoposizione a procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso.
Il TAR Lazio, pertanto, dubitava della conformità della richiamata norma ai principi di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). Nel confronto tra le norme indicate nel presente capo emergeva che l'apprezzamento della sussistenza di collegamenti tra l'organo elettivo e la criminalità organizzata veniva ad essere affidato a valutazioni di consistenza inferiore anche a quella richiesta per gli elementi indiziari, che non consentono un adeguato controllo in sede giurisdizionale.

IV. In ordine al punto sub b) (scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti riguardanti soltanto alcuni amministratori) il TAR Lazio argomentava che la sanzione finiva per colpire anche i componenti dell'organo estranei al collegamento con il crimine organizzato, vulnerando il principio di personalità della responsabilità.
Il tribunale remittente riteneva che la norma richiamata contrastasse con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, riducendosi la possibilità di controllo della legittimità dell'operato della pubblica amministrazione, tanto più quanto meno "percepibili" sono i dati e gli elementi assunti a base del giudizio di collegamento tra organo elettivo e criminalità organizzata.
Anche l'art. 51 della Costituzione, ad avviso del TAR Lazio, era da ritenersi violato, atteso che la garanzia di accesso alle cariche elettive "non può non includere ... il mantenimento della carica conseguita e l'esercizio delle relative funzioni".
La norma denunziata non avrebbe rispettato, pertanto, la necessità che la disciplina della materia sia immune da genericità o indeterminatezza.

V. In ordine alla censura sub c) di cui al presente capitolo sub II (permanenza degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi) il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio dubitava che la previsione di legge fosse conforme alla Costituzione. Invero la protratta efficacia dello scioglimento comporta la sospensione del diritto di elettorato attivo, in deroga all'art. 48 della Costituzione che indica un numerus clausus di cause (incapacità civile, sentenza penale irrevocabile, indegnità morale) di sospensione del suddetto diritto, ma anche del diritto di elettorato passivo (art. 51 della Costituzione).
Altro effetto dello scioglimento ritenuto incostituzionale risiede nella "sospensione dell'autonomia degli enti locali", garantita dagli articoli 5 e 128 della Costituzione.
Ma vi è di più! La rimessione della norma alla discrezionalità dell'amministrazione della determinazione della durata dello scioglimento, in difetto di un parametro normativo, “sottrae la scelta al sindacato giurisdizionale, violando l'art. 24 della Costituzione.

VI. A tali serrate critiche la Corte Costituzionale rispose con una articolata sentenza (all. 4), la n° 103 del 10/19.03.1993 (Presidente Casavola, redattore Caianiello), che dichiarava manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’ articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55. Le motivazioni addotte dalla Consulta, alla cui integrale lettura comunque si rinvia, sono state efficacemente sintetizzate dall’allora Presidente Casavola nella conferenza stampa del 25 gennaio 1994.
In tale sede il Presidente della Consulta, nel ricostruire succintamente i termini della controversia, ha ritenuto fugati “i dubbi prospettati attraverso la rilettura sistematica delle disposizioni impugnate in connessione con tutte le norme della Costituzione che, in diversa guisa, risultano implicate”[2].
Secondo il Presidente Casavola sottesa in tutta la motivazione è “l'argomentazione secondo cui gli organi rappresentativi delle comunità locali debbono essere in grado di svolgere i loro compiti istituzionali con piena autonomia di giudizio e mediante determinazioni di volontà liberamente e democraticamente espresse, al di fuori di ogni indebita ingerenza o pressione esterna”2. Tale è lo spirito della Costituzione e delle norme che tutelano le autonomie locali, secondo l’allora Presidente della Consulta.
Il potere di scioglimento degli organi elettivi è strettamente connaturato a tali esigenze (autonomia di giudizio, libertà e democraticità delle volizioni). Tale potere, di natura straordinaria, viene conferito all'autorità amministrativa, che può esercitarlo solo allorché ricorrano i presupposti di fatto descritti nella norma in esame.
A confutazione della censura sub b) sollevata dal TAR Lazio il Presidente della Consulta argomentava che lo scioglimento, “costituendo misura sanzionatoria nei confronti dell'organo elettivo in ragione della sua oggettiva inidoneità ad amministrare l'ente locale, rende inconferente qualsiasi raffronto con altri modelli normativi che riguardano provvedimenti adottati per singoli amministratori che abbiano subito condanna penale o misura di prevenzione”2. Atteso che la misura dello scioglimento ha carattere sanzionatorio per l'organo, e non per i singoli componenti di esso, a giudizio della Corte Costituzionale perde consistenza “il profilo censorio circa il carattere personale della responsabilità che, appunto, non può essere riferito ad un organo collegiale”2.
Infine la Corte Costituzionale, con la succitata sentenza, ha affermato la ragionevolezza della protrazione degli effetti dello scioglimento per la durata da dodici a diciotto mesi. Tale previsione ben sarebbe conciliabile con le autentiche esigenze delle autonomie locali, attesa la necessità di evitare il riprodursi dei fenomeni infiltrativi negli enti, la cui probabilità sarebbe certamente maggiore laddove si procedesse alla immediata ricostituzione dell'organo.
In tale ottica, la determinazione della durata dello scioglimento è “rimessa alla discrezionalità della P.A. che dovrà, allo scopo, valutare in concreto l'estensione del fenomeno mafioso, dandone adeguato conto nella motivazione del provvedimento”2.

§ 4 Problematiche derivanti dall’applicazione della norma. Il dibattito legislativo.
I. Il superamento delle censure di incostituzionalità della cennata normativa, sia pur acutamente motivato e giuridicamente ineccepibile alla stregua del dettato costituzionale, non ha certamente impedito che la legge fosse oggetto di critiche serrate nella sua fase applicativa.
Emblematici, nella Regione Campania, sono i “casi” Portici e Marano di Napoli. Nel 2002 si verificò lo scioglimento dell’amministrazione porticese, guidata dal Sindaco Leopoldo Spedaliere. Nel gennaio 2004, il Consiglio di Stato riconobbe l’illegittimità del decreto presidenziale di scioglimento, reintegrando nelle sue funzioni l’amministrazione comunale.
Ancor più mediaticamente clamorosa la vicenda di Marano di Napoli: il 28 luglio 2004 questa amministrazione veniva sciolta per legami con la mafia. Da gran parte del mondo politico campano e nazionale pervennero attestati di stima e solidarietà per il Sindaco Mauro Bestini e la sua amministrazione. Il TAR Campania (Napoli) il 5 novembre dello stesso anno accolse il ricorso degli amministratori di Marano, evidenziando l’inidoneità degli elementi raccolti dalla Commissione d’accesso a dimostrare la sussistenza di condizionamenti di tipo mafioso.
La rivista Narcomafie a tal proposito documenta che “All’indomani della sentenza del Tar della Campania a proposito del caso-Marano, (…), il ministro dell’Interno incontrò una delegazione di sindaci della Campania, e (…) propose l’istituzione di un tavolo di concertazione per rendere più efficace e limitare i rischi di arbitrarietà della normativa vigente in tema di collusione tra enti locali e criminalità organizzata. Segno che anche al Ministero si riconobbe la necessità di un intervento riformatore della normativa”[3].
Il punto più alto della riflessione critica sull’istituto dello scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose è rappresentato dalla discussione conclusasi il 12 luglio 2005 in Commissione Antimafia con un Documento di sintesi[4] (all. 5). Obiettivo dichiarato del documento è quello di “fornire maggiore efficacia ed incisività ai provvedimenti adottati dallo Stato a salvaguardia del regolare svolgimento della vita delle comunità locali”[5]. La Commissione, alla luce delle esperienze consolidate in materia di scioglimento, arriva a formulare la considerazione della inefficacia dello scioglimento, in molti casi, rispetto alle finalità di rinnovamento e sottrazione “dal giogo che la criminalità organizzata impone con il controllo delle attività amministrative”[6].
Benvero l’evoluzione della normativa disciplinante gli enti locali, segnatamente l’elezione diretta del Sindaco (e del Presidente della Provincia) e le norme sulla dirigenza pubblica, costituiscono ulteriori impulsi alla necessità di adeguamento della normativa antimafia[7].
La Commissione antimafia appare ben consapevole della differenza qualitativa tra la diversa consistenza degli elementi necessari per l’avvio di un procedimento penale e quelli indispensabili per lo scioglimento di un’amministrazione. Attesa la funzione di prevenzione e difesa sociale della misura dello scioglimento, ben si giustifica il diverso spessore tra elementi probatori in senso proprio ed indici di infiltrazione mafiosa[8].
Tuttavia gli elementi che portano allo scioglimento “devono consentire di configurare una situazione nella quale l'interferenza con la libera determinazione degli organi di autogoverno locale sia collegabile all'esistenza di fenomeni (…) di criminalità organizzata che sono ragionevolmente riconducibili agli esponenti politici locali oggetto del provvedimento”[9]. Ciò al fine di evitare arbitri, come sottolineato dai casi limite esaminati.

II. Un passaggio fondamentale del Documento della Commissione Antimafia (all. 5) deve ritenersi, a buon diritto, l’analisi dell’incidenza sulla normativa di scioglimento degli Enti della riforma della dirigenza pubblica, introdotta con il D. L. 18 agosto 2000, n° 267.
Principio ispiratore della citata riforma è quello della separazione dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che spettano agli organi di governo, dai poteri di gestione amministrativa, finanziaria e contabile, di competenza dei dirigenti.
Orbene, attesa la ripartizione dei poteri e delle responsabilità operata dalla riforma, si pone l’esigenza di “salvaguardare l’Amministrazione che, pur evidenziando nella propria gestione elementi di compromissione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione, non manifesti responsabilità del livello politico”[10].
La Commissione, pertanto, propone di modificare la disciplina sullo scioglimento degli enti locali, aggiungendo l’ipotesi di commissariamento dell'area gestionale da realizzarsi “mediante la nomina di un commissario straordinario che svolga le funzioni del direttore generale con poteri di avocazione delle funzioni gestionali,
amministrative e finanziarie dei servizi interessati”[11].
La sussistenza di responsabilità del livello dirigenziale nel verificarsi di infiltrazioni mafiose dovrebbe implicare, quale portato naturale, la possibilità di “risoluzione del rapporto di diritto pubblico o privato instaurato con l’ente, per il venire meno del rapporto fiduciario sottostante”[12]; analogamente, per i lavoratori dipendenti, la Commissione antimafia ritiene che l’accertamento della sussistenza di responsabilità nel verificarsi di fenomeni infiltrativi a carico di questi, debba poter determinare l’avvio di procedimenti disciplinari che possano terminare anche con il licenziamento del dipendente[13].

III. Il documento dell’Antimafia (all. 5) si sofferma sull’opportunità di introdurre nella normativa in materia un ulteriore presupposto di scioglimento. Invero l’art. 143 del D. Lgs. 267/2000 prevede l’ipotesi di scioglimento nei casi in cui risulti compromesso il buon andamento dell’ente. Il principio del buon andamento, richiamato dall’art. 97 della Costituzione, pone a carico del funzionario pubblico l’onere di svolgere la propria attività secondo i modi e le forme più opportuni per garantire efficienza, speditezza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa. La Commissione opportunamente argomenta che, oltre al principio del buon andamento, la normativa sullo scioglimento debba tutelare anche quello dell’imparzialità della P. A., che si estrinseca nella estraneità dell’azione amministrativa ad interessi particolari[14].
L’esperienza pratica dei condizionamenti mafiosi insegna che sovente un atto “pur non ledendo i principi di efficacia, efficienza, speditezza ed economicità, abbia leso quello di imparzialità”[15]. Un esempio pratico è quello, peraltro frequente, di “appalti aggiudicati al prezzo più basso, in tempi celeri e senza spreco di risorse pubbliche, ma assegnati favorendo un’impresa mafiosa”15.
Pertanto il Documento suggerisce che oggetto di valutazione da parte della Commissione d’accesso sia non solo l’eventuale turbativa del buon andamento di un’amministrazione, ma anche dell’imparzialità. Beninteso la sanzione da applicare nel caso di compromissione dell’imparzialità dell’amministrazione colpirà il livello politico e/o quello dirigenziale, a seconda dell’addebitabilità delle situazioni compromissive riscontrate[16].

IV. La proposta di modifica legislativa si sofferma su tre aspetti non secondari delle vicende di scioglimento.
Il primo è quello dell’accertamento di compromissioni individuali con la criminalità organizzata non suscettibili di interferire con la vita dell’Ente.
Sotto tale profilo, la Commissione indica la necessità di previsione legislativa di un potere di sospensione o decadenza dalla funzione svolta, sia essa elettiva o dirigenziale. Poteri da esercitarsi, in ogni caso, nelle forme e con il controbilanciamento delle garanzie giurisdizionali previste per lo scioglimento dell’ente[17].
Ancor più centrale è la questione del termine per l’esecuzione delle indagini intraprese dalla commissione d’accesso. Come ricorda Mauro Bestini, sindaco di Marano di Napoli, rievocando la propria vicenda[18], la commissione d’accesso protrasse nell’ente le proprie funzioni per “dodici mesi di occupazione militare e di blocco degli uffici, impegnati nella continua richiesta di documenti e fotocopie”[19].
Evitare di compromettere ulteriormente la funzionalità dell’ente oggetto di indagine, in ragione del protrarsi dell’attività inquisitoria della commissione d’accesso: in quest’ottica la Commissione Antimafia ritiene congruo “fissare il termine di tre mesi entro il quale la commissione dovrà ultimare l’attività di accesso, fissando (…) nei successivi tre mesi il termine entro il quale dovrà essere emanato il provvedimento definitivo (…)”[20].
Una limitazione temporale all’esercizio dei poteri di accesso ritenuta senz’altro indispensabile, alla stregua delle esperienze maturate nel corso di questi anni.
Infine non può omettersi l’importanza di un’ulteriore proposta di modifica legislativa della Commissione, consistente nel riconoscimento al Prefetto della facoltà di consultare il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, al quale sia chiamato altresì a partecipare il Procuratore della Repubblica competente per territorio. Una consultazione ritenuta indispensabile per “ conferire maggiore solidità argomentativa alle motivazioni poste a base delle decisioni adottate dall'Amministrazione dell'Interno nell'ambito della propria autonomia”[21].

V. Oltre che sugli aspetti connessi allo scioglimento, la pars distruens di un’attività amministrativa compromessa da infiltrazioni mafiose, la Commissione antimafia indica alcune direttrici di modifica alla legge in vigore, il cui precipuo scopo è migliorare l’incisività della gestione straordinaria “tesa al recupero effettivo delle condizioni generali dell’azione amministrativa secondo il dettato della Carta costituzionale”[22].
A tal fine la Commissione ravvisa l’opportunità di innovare la normativa vigente, indicando sin dalla relazione del prefetto allegata alla proposta di scioglimento, i “punti critici dell’azione amministrativa”. Ciò al fine di motivare la misura adottata, ma anche di individuare “adeguate soluzioni di recupero di ogni aspetto della legalità dell’azione amministrativa condotta nell’interesse della collettività”[23].
Preliminarmente, allo scopo di garantire una intensa professionalità e specializzazione alla gestione straordinaria, la Commissione propone di innovare la normativa vigente mediante l’istituzione di un ruolo dei Commissari straordinari presso il Ministero dell’Interno[24]. Anche la provenienza da un territorio provinciale diverso da quello d’appartenenza dell’ente sciolto, per ragioni inespresse ma di evidente opportunità, viene individuato come elemento qualificante della gestione24.
I principi che debbono presenziare all’azione commissariale vengono individuati in quelli di “promozione della legalità, dello sviluppo e della partecipazione democratica”[25].
Nei settori più “sensibili” ai condizionamenti, quale quello degli appalti, servizi e forniture, la Commissione Antimafia ravvisa l’opportunità di concedere alla gestione commissariale la possibilità di stipulare contratti a trattativa privata anche in deroga alla normativa di evidenza pubblica, procedura da adottare “solo quando non si possa accedere con la stessa efficienza e celerità agli ordinari strumenti offerti dalle norme in vigore in materia di evidenza pubblica”[26]. Nella medesima logica si pone l’esigenza di conferire espresso mandato alla gestione commissariale di provvedere alla ricognizione sull’aggiudicazione di appalti, affidamento in concessione di servizi pubblici locali, concessioni edilizie, autorizzazioni amministrative ed incarichi professionali26.
Il riflesso delle innovazioni legislative nel campo della dirigenza ed il conseguente riparto di sfere decisionali[27] trova un suo strumento pratico nella previsione di innovazione legislativa proposta dalla Commissione, in ordine agli spostamenti del personale dell’ente, anche “in deroga alle norme in materia di contrattazione e concertazione con le organizzazioni sindacali” verso le quali residuerebbe un obbligo di comunicazione preventiva dei provvedimenti adottati[28]. Tale misura si giustificherebbe in forza “dell’eccezionale interesse dello Stato al ripristino della legalità nello svolgimento dell’azione amministrativa gravemente compromessa dall’infiltrazione mafiosa”28.

VI. Il Documento in esame (all. 5) si conclude con l’analisi di due profili residuali ma non secondari. Il primo riguarda la previsione di una sanzione di ineleggibilità a carico dei soggetti che abbiano dato causa all’infiltrazione mafiosa nell’ente. Beninteso tale previsione, atteso che sovente riguarderebbe soggetti a carico dei quali non si è formato un giudicato penale, dovrebbe essere temporanea e limitata al solo successivo turno elettorale utile[29]. Anche in tal caso, comunque, pur non contestandosi l’utilità della modifica proposta, resta problematico conciliare tale esigenza con l’art. 48 della Costituzione.
L’ultimo aspetto, infine, è quello della tutela giurisdizionale delle amministrazioni oggetto del provvedimento di scioglimento. Al fine di evitare, da un lato, contrasti giurisprudenziali e dall’altro disparità di trattamento giudiziario delle singole vicende, la Commissione propone la devoluzione della cognizione delle vicende giurisdizionali inerenti lo scioglimento al TAR Lazio (Roma).

§ 5. Il progetto di legge Sinisi – Cristaldi.
I. I contenuti del “Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso” (all. 5) testé esposti hanno ricevuto una formalizzazione di D. D. L. ad opera degli onorevoli Giannicola Sinisi e Nicolò Cristaldi[30] (all. 6).
Tale progetto, presentato il 22 Dicembre 2005 ed assegnato in data 30 Gennaio 2006 alla Commissione Affari costituzionali in sede referente, non è stato sottoposto ad esame per le note vicende inerenti lo scioglimento delle Camere.
Il disegno di legge, laddove fosse approvato, innoverebbe radicalmente la vigente normativa, secondo le linee suesposte[31].
Orbene è opportuno, nell’ambito del mandato consulenziale affidato allo scrivente, tentare un bilancio di quanto possa ritenersi condivisibile nelle linee propositive del DDL, con particolare riguardo ad eventuali possibili istituti di immediata attuazione, indicando altresì eventuali criticità e segnalando ulteriori possibili modifiche al testo normativo.

II. La proposta Sinisi – Cristaldi (all. 6) appare, nella sua sostanza ampiamente condivisibile ed in linea con l’esigenza di soluzione di quelle criticità emerse nell’applicazione dell’istituto dello scioglimento per infiltrazioni mafiose degli enti.
Pertanto se ne indicheranno solo quegli aspetti modificabili in melius ovvero quelle integrazioni ritenute opportune.
Seguendo l’ordine dell’articolato modificato dal DDL, l’art. 143 co. 3 che prevede incidentalmente la costituzione di un albo dei commissari d’accesso, potrebbe essere integrato dalla previsione di incompatibilità – quanto meno temporalmente limitata – tra le funzioni di commissario d’accesso e quella di commissario straordinario. Ciò anche in difformità alla previsione del comma 4 dell’art. 144 nuovo testo, che prevede l’utilizzo di iscritti al costituendo ruolo di commissari straordinari non impiegati in commissioni straordinarie come commissari d’accesso.
Tale previsione risponde all’esigenza di specializzazione settoriale nell’esercizio delle funzioni, peraltro già recepita dal legislatore.
Il comma 4 del medesimo art. 143 andrebbe integrato con una duplice previsione: a) da un lato la previsione del diritto dell’Ente oggetto di accesso di presentare le proprie controdeduzioni alle conclusioni della commissione d’accesso entro un congruo termine. Ciò al fine di munire l’ente di una tutela extra giurisdizionale e di fornire uno strumento cognitivo ulteriore al Prefetto.
Tale facoltà avrebbe anche un’altra finalità, quella di deflazionare il contenzioso amministrativo, atteso che il Prefetto anche alla luce delle controdeduzioni dell’ente, melius re perpensa, possa adottare un provvedimento di diniego dello scioglimento ovvero possa limitare questo alla sola area gestionale ed amministrativa, ricorrendone i presupposti; b) quale modifica aggiuntiva al presente comma, si suggerisce l’obbligatorietà del parere che il Prefetto della provincia interessata deve richiedere al Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, integrato con la partecipazione del Procuratore della Repubblica competente per territorio, sull’emissione della proposta di scioglimento. L’obbligatorietà di tale parere risponde alle medesime esigenze di cui al punto precedente.
Ad integrazione delle previsioni di cui al testo dell’art. 145, con espresso riferimento agli incarichi professionali esterni, si suggerisce l’opportunità di istituire presso la Prefettura di ogni provincia un “albo per gli incarichi professionali presso gli enti commissariati”, dal quale la Commissione straordinaria avrebbe l’obbligo di attingere per il conferimento di incarichi con criteri di rotazione automatica, fatta salva la natura particolare dell’incarico, da motivarsi congruamente da parte della commissione. Gli iscritti a tale albo dovrebbero preventivamente accettare un accordo quadro relativo alle tariffe per l’espletamento dei servizi offerti, oltre ad offrire garanzie di ripudio della criminalità organizzata. Tale previsione risponde ad un triplice obiettivo: a) garantire, almeno sotto il profilo previsionale, la certezza per l’Ente di avere una preventiva conoscenza delle tariffe applicate dai professionisti esterni. Ciò anche nell’ottica di un successivo ritorno alla normalità amministrativa dell’ente; b) evitare una prassi consolidata, purtroppo riscontrata, di contiguità tra commissari e fiduciari esterni, con l’attribuzione costante di incarichi esterni ai medesimi soggetti in ragione degli spostamenti dei singoli commissari, c) monitorare l’affidabilità dei fiduciari esterni costantemente nel tempo.
Neutrale è invece il giudizio su altri aspetti della proposta normativa in esame.
Invero la previsione di cui all’art. 145 co. 3 della novella legislativa (stipulazione di contratti di forniture di beni e servizi con il metodo della trattativa privata, anche in deroga ai principi di contabilità pubblica) richiederà opportunamente la “congrua motivazione” di cui alla medesima norma per non divenire uno strumento distorsivo dell’ordinato svolgimento della contrattazione pubblica.
Altresì opportuna è la previsione espressa di tutele giurisdizionali a fronte del disposto del comma 6 del medesimo articolo, in ordine alla sospensione delle norme in materia di contrattazione economica collettiva decentrata e di concertazione con le OO. SS.. Pur nell’evidenza della ratio legis, la deroga ai diritti fondamentali del prestatore di lavoro dovrebbe prevedere una congrua motivazione e delle garanzie di tutela per lo stesso.
Infine la devoluzione di tutte le controversie al TAR Lazio (Roma), prevista dall’art. 146 della novella, pur partendo da un’esigenza di uniformità interpretativa della norma, di fatto potrebbe non costituire un elemento necessario della proposta normativa, atteso che i Tribunali amministrativi regionali in buona sostanza hanno dimostrato una sostanziale uniformità di indirizzo nella trattazione delle problematiche connesse allo scioglimento degli enti.

§ 6. Una prospettiva attuale di integrazione della disciplina sullo scioglimento in vigore.
Nelle more dell’iter parlamentare del disegno di legge Sinisi – Cristaldi, la cui approvazione è incerta nel quando e nell’an, la Regione Campania - nella quale tanta incidenza riveste lo scioglimento degli enti per infiltrazioni mafiose - potrebbe direttamente adoperarsi, nei limiti concessi dalla Costituzione, per la modifica di taluni aspetti della vigente normativa.
Lo strumento che quivi si indica per la modifica è quello di un Protocollo d’intesa, da stipularsi tra la Regione e le cinque Prefetture nelle quali è articolato il nostro territorio regionale.
I punti salienti di tale protocollo che si sottopongono all’attenzione della Commissione speciale osservatorio contro la camorra e la criminalità organizzata sono i seguenti: a) attribuzione delle funzioni di commissario d’accesso o commissario straordinario a soggetti che esercitano le proprie funzioni o risiedono fuori dal territorio della provincia dell’ente interessato; b) incompatibilità temporalmente limitata,almeno per un biennio, tra le summenzionate funzioni; c) adozione, sin dall’immediato, di un modello tipicizzato di relazione commissariale e di proposta di scioglimento che recepisca le indicazioni di massima di cui al testo dell’art. 143 co. 4 come novellato dalla proposta Sinisi – Cristaldi. In particolare si propone che la relazione commissariale indichi analiticamente “la natura dei collegamenti con la criminalità organizzata da parte degli amministratori (…) tali da compromettere il regolare svolgimento dell’azione amministrativa”. La proposta prefettizia, inoltre, dovrebbe dettagliatamente indicare “gli appalti, i contratti ed i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da una condotta antigiuridica”; d) istituzione dell’ albo per gli incarichi professionali presso gli enti commissariati.

[1] Già il Mosca, nel 1901, accenna alla problematica delle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Si veda il “Giornale degli Economisti” luglio 1901, p. 236-62, trascrizione di una conferenza tenuta a Torino, ora in Mosca, Gaetano, Che cos’è la Mafia, Stampalternativa, Viterbo, 1994, a cura di Pietro Flecchia, pagg. 25 – 26
[2] Francesco Paolo Casavola, Conferenza stampa del 25 gennaio 1994, da www.cortecostituzionale.it.
[3] Nebiolo, Marco Cambiare la legge per salvarla, in Narcomafie, giugno 2005
[4] Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare (XIV legislatura), Seduta del 12 luglio 2005 Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, in Atti della Commissione, 2005.
[5] Ibidem, pag. 1
[6] Ibidem, pag. 2
[7] Ibidem, pag. 2
[8] Documento di sintesi… passim, pagg. 3 e 4
[9] Ibidem¸ pag. 4
[10] Ibidem, pag. 5
[11] Documento di sintesi…, pag. 5
[12] Ibidem
[13] Ibidem
[14] Documento di sintesi…, pag. 7
[15] Ibidem
[16] Documento di sintesi…, pagg. 7 ed 8
[17] Documento di sintesi…, pag. 8
[18] Vedasi infra, § 4. I
[19] Nebiolo, Marco Cambiare la legge…… cit., v. infra in nota 3
[20] Documento di sintesi…, pag. 9

[21] Documento di sintesi…, pag. 9
[22] Ibidem
[23] Documento di sintesi…, pag. 9
[24] Ibidem, pag. 10
[25] Ibidem
[26] Ibidem, pag. 11
[27] V. infra, § 4, II
[28] Documento di sintesi…, pag. 11
[29] Ibidem, pag. 12
[30] A testimonianza della crucialità del tema e dell’interesse suscitato negli schieramenti di maggioranza ed opposizione, si indicano, altresì, gli altri cofirmatari del progetto, con i rispettivi gruppi politici di appartenenza: On. Domenico Bova (DS-U), On. Enzo Ceremigna (Misto, Rnp), On. Giampiero D'Alia (UDC (CCD-CDU)), On. Lorenzo Diana (DS-U), On. Massimo Grillo (UDC (CCD-CDU)), On. Giuseppe Lumia (DS-U), On. Angela Napoli (AN), On. Giovanni Russo Spena (RC)
[31] V. infra, § 4.