venerdì 6 aprile 2007

presenze mafiose

Il testo che segue venne redatto in occasione di una consulenza resa alla Commissione speciale Anticamorra istituita presso la Regione Campania. Senza pretendere di essere esaustivo, affronta la problematica dello scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose. Stante la gravità ed attualità del tema, ritengo utile condividerlo con eventuali visitatori di questo blog.
§ 1 Cenni storici.
Nell’ordinamento giuridico italiano, a dispetto della diuturnità del problema[1] le norme che disciplinano l'intervento antimafia negli enti locali sono relativamente recenti.
La legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, all’art. 39 prevedeva lo scioglimento dei consigli comunali a) in caso di atti contrari alla Costituzione o b) per gravi e persistenti violazioni di leggi, nonché c) per gravi motivi di ordine pubblico (all. 1), non contemplando la fattispecie di infiltrazioni mafiose.
Solo il D. L. 31 maggio 1991, n. 164, intervenne per colmare la lacuna normativa, aggiungendo l’art. 15-bis alla L. n. 55 del 1990 (all. 2).
La cennata norma introduceva un’ipotesi di scioglimento nuova rispetto a quelle previste dalla legge sulle autonomie locali promulgata nel 1990.
L’art. 15-bis L. n. 55/1990 disponeva che i consigli comunali e provinciali potessero essere sciolti quando, in seguito all’esercizio dei poteri ispettivi del Prefetto, fossero accertati elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori tali da compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
Detto provvedimento, altresì, introduceva una tutela cautelare interinale conferendo, al comma 5, al prefetto il potere di sospendere, in attesa del decreto di scioglimento, “gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell'ente mediante invio di commissari” per il termine di sessanta giorni (art. 15-bis L. n. 55/1990).
Attualmente la materia è disciplinata dagli artt. 143 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), che riprende la previsione dell'articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, alla cui lettura integrale si rimanda (all. 3).

§ 2 La procedura di scioglimento.
Alla stregua del disposto normativo dell’art. 143 co. 2 T. U. Enti locali, il procedimento di scioglimento di un’amministrazione comunale o provinciale “è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni”. La norma fa espresso richiamo ai poteri già attribuiti all’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, poi devoluti al Ministero dell’Interno dal 01.01.1993, poteri che il Viminale è facultato a delegare ai Prefetti, alla D.I.A. o ad altri organi di Pubblica Sicurezza.
Alla relazione prefettizia, nel caso di riscontro di elementi che integrino gli estremi dello scioglimento (collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, come elencati dal comma 1 dell’art. 143 T. U.) segue l’emanazione, da parte del Presidente del decreto che dispone lo scioglimento dell’Ente. Tale decreto viene emanato dal Capo dello Stato su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Il suddetto decreto viene trasmesso contestualmente alla sua emissione alle Camere e conserva i suoi effetti “per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali” (art. 143 co. 3 T. U.) e viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Finalità precipua dell’istituto dello scioglimento è quella “di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati”.
Nel decreto di scioglimento viene contestualmente nominata “una commissione straordinaria per la gestione dell'ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso” (art. 144 T. U.). Tale commissione è composta di tre membri “scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza” (art. 144 T. U.) La stessa permane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.
Avverso il decreto di cui all’art. 143 T. U. è ammessa tutela giurisdizionale dinanzi all’A. G. A., da esercitarsi nelle forme ordinarie (ricorso al TAR in prime cure ed eventuale, successivo, ricorso al Consiglio di Stato).
Legittimati attivi nel giudizio sono i componenti degli organismi disciolti, mentre i legittimati passivi sono la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro degli interni, il prefetto della provincia di appartenenza dell’ente sciolto, la Gestione straordinaria dello stesso e l’Ente.

§ 3 Problematiche derivanti dall’applicazione della norma. L’elaborazione della giurisprudenza costituzionale.
I. A pochi mesi dall’entrata in vigore delle norme che modificavano la legge sulle autonomie locali del 1990, con due distinti decreti del Presidente della Repubblica del 2 agosto 1991 vennero sciolti per infiltrazioni mafiose i consigli comunali di Taurianova (RC) e di Casandrino (NA). A tali scioglimenti sono seguiti numerosi altri.
Il ricorso diffuso all’A. G. A. da parte degli amministratori “sciolti” ed il dibattito nelle varie sedi politiche hanno fatto emergere le problematiche e le criticità sottese alle norme in esame.

II. Con propria dettagliata e motivata ordinanza (n. 681/1992, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992) emessa in data 8 luglio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, venivano sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale alcune motivate censure di legittimità costituzionale dell'art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 (all. 2).
In sintesi, il Tribunale amministrativo regionale ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale della norma indicata, in quanto:
a) consente di attribuire rilevanza a "collegamenti indiretti" di taluni
amministratori con la criminalità organizzata;
b) prevede lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti - nel senso detto - riguardanti soltanto alcuni amministratori;
c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi.

III. Quanto al profilo sub lettera a), il TAR Lazio riteneva che la norma impugnata si caratterizzasse per un minore grado di spessore probatorio richiesto come presupposto dello scioglimento (i "collegamenti" con la criminalità organizzata), rispetto agli elementi richiesti sia per il promovimento dell'azione penale sia per l'adozione della misura preventiva.
Tale statuizione si palesava difforme rispetto al quadro normativo all’epoca vigente (art. 40 L. 142/90) per la sospensione e rimozione degli amministratori degli enti locali (il cui presupposto era l’imputazione di un reato previsto dalla L. 646/82, che istituiva il reato di associazione di tipo mafioso o la sottoposizione a misura di prevenzione o a misura di sicurezza), ovvero per la sospensione obbligatoria degli amministratori degli enti locali, a norma dell’art. 15 L. 55/90, il cui presupposto era la sottoposizione a procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso.
Il TAR Lazio, pertanto, dubitava della conformità della richiamata norma ai principi di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). Nel confronto tra le norme indicate nel presente capo emergeva che l'apprezzamento della sussistenza di collegamenti tra l'organo elettivo e la criminalità organizzata veniva ad essere affidato a valutazioni di consistenza inferiore anche a quella richiesta per gli elementi indiziari, che non consentono un adeguato controllo in sede giurisdizionale.

IV. In ordine al punto sub b) (scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti riguardanti soltanto alcuni amministratori) il TAR Lazio argomentava che la sanzione finiva per colpire anche i componenti dell'organo estranei al collegamento con il crimine organizzato, vulnerando il principio di personalità della responsabilità.
Il tribunale remittente riteneva che la norma richiamata contrastasse con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, riducendosi la possibilità di controllo della legittimità dell'operato della pubblica amministrazione, tanto più quanto meno "percepibili" sono i dati e gli elementi assunti a base del giudizio di collegamento tra organo elettivo e criminalità organizzata.
Anche l'art. 51 della Costituzione, ad avviso del TAR Lazio, era da ritenersi violato, atteso che la garanzia di accesso alle cariche elettive "non può non includere ... il mantenimento della carica conseguita e l'esercizio delle relative funzioni".
La norma denunziata non avrebbe rispettato, pertanto, la necessità che la disciplina della materia sia immune da genericità o indeterminatezza.

V. In ordine alla censura sub c) di cui al presente capitolo sub II (permanenza degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi) il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio dubitava che la previsione di legge fosse conforme alla Costituzione. Invero la protratta efficacia dello scioglimento comporta la sospensione del diritto di elettorato attivo, in deroga all'art. 48 della Costituzione che indica un numerus clausus di cause (incapacità civile, sentenza penale irrevocabile, indegnità morale) di sospensione del suddetto diritto, ma anche del diritto di elettorato passivo (art. 51 della Costituzione).
Altro effetto dello scioglimento ritenuto incostituzionale risiede nella "sospensione dell'autonomia degli enti locali", garantita dagli articoli 5 e 128 della Costituzione.
Ma vi è di più! La rimessione della norma alla discrezionalità dell'amministrazione della determinazione della durata dello scioglimento, in difetto di un parametro normativo, “sottrae la scelta al sindacato giurisdizionale, violando l'art. 24 della Costituzione.

VI. A tali serrate critiche la Corte Costituzionale rispose con una articolata sentenza (all. 4), la n° 103 del 10/19.03.1993 (Presidente Casavola, redattore Caianiello), che dichiarava manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’ articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55. Le motivazioni addotte dalla Consulta, alla cui integrale lettura comunque si rinvia, sono state efficacemente sintetizzate dall’allora Presidente Casavola nella conferenza stampa del 25 gennaio 1994.
In tale sede il Presidente della Consulta, nel ricostruire succintamente i termini della controversia, ha ritenuto fugati “i dubbi prospettati attraverso la rilettura sistematica delle disposizioni impugnate in connessione con tutte le norme della Costituzione che, in diversa guisa, risultano implicate”[2].
Secondo il Presidente Casavola sottesa in tutta la motivazione è “l'argomentazione secondo cui gli organi rappresentativi delle comunità locali debbono essere in grado di svolgere i loro compiti istituzionali con piena autonomia di giudizio e mediante determinazioni di volontà liberamente e democraticamente espresse, al di fuori di ogni indebita ingerenza o pressione esterna”2. Tale è lo spirito della Costituzione e delle norme che tutelano le autonomie locali, secondo l’allora Presidente della Consulta.
Il potere di scioglimento degli organi elettivi è strettamente connaturato a tali esigenze (autonomia di giudizio, libertà e democraticità delle volizioni). Tale potere, di natura straordinaria, viene conferito all'autorità amministrativa, che può esercitarlo solo allorché ricorrano i presupposti di fatto descritti nella norma in esame.
A confutazione della censura sub b) sollevata dal TAR Lazio il Presidente della Consulta argomentava che lo scioglimento, “costituendo misura sanzionatoria nei confronti dell'organo elettivo in ragione della sua oggettiva inidoneità ad amministrare l'ente locale, rende inconferente qualsiasi raffronto con altri modelli normativi che riguardano provvedimenti adottati per singoli amministratori che abbiano subito condanna penale o misura di prevenzione”2. Atteso che la misura dello scioglimento ha carattere sanzionatorio per l'organo, e non per i singoli componenti di esso, a giudizio della Corte Costituzionale perde consistenza “il profilo censorio circa il carattere personale della responsabilità che, appunto, non può essere riferito ad un organo collegiale”2.
Infine la Corte Costituzionale, con la succitata sentenza, ha affermato la ragionevolezza della protrazione degli effetti dello scioglimento per la durata da dodici a diciotto mesi. Tale previsione ben sarebbe conciliabile con le autentiche esigenze delle autonomie locali, attesa la necessità di evitare il riprodursi dei fenomeni infiltrativi negli enti, la cui probabilità sarebbe certamente maggiore laddove si procedesse alla immediata ricostituzione dell'organo.
In tale ottica, la determinazione della durata dello scioglimento è “rimessa alla discrezionalità della P.A. che dovrà, allo scopo, valutare in concreto l'estensione del fenomeno mafioso, dandone adeguato conto nella motivazione del provvedimento”2.

§ 4 Problematiche derivanti dall’applicazione della norma. Il dibattito legislativo.
I. Il superamento delle censure di incostituzionalità della cennata normativa, sia pur acutamente motivato e giuridicamente ineccepibile alla stregua del dettato costituzionale, non ha certamente impedito che la legge fosse oggetto di critiche serrate nella sua fase applicativa.
Emblematici, nella Regione Campania, sono i “casi” Portici e Marano di Napoli. Nel 2002 si verificò lo scioglimento dell’amministrazione porticese, guidata dal Sindaco Leopoldo Spedaliere. Nel gennaio 2004, il Consiglio di Stato riconobbe l’illegittimità del decreto presidenziale di scioglimento, reintegrando nelle sue funzioni l’amministrazione comunale.
Ancor più mediaticamente clamorosa la vicenda di Marano di Napoli: il 28 luglio 2004 questa amministrazione veniva sciolta per legami con la mafia. Da gran parte del mondo politico campano e nazionale pervennero attestati di stima e solidarietà per il Sindaco Mauro Bestini e la sua amministrazione. Il TAR Campania (Napoli) il 5 novembre dello stesso anno accolse il ricorso degli amministratori di Marano, evidenziando l’inidoneità degli elementi raccolti dalla Commissione d’accesso a dimostrare la sussistenza di condizionamenti di tipo mafioso.
La rivista Narcomafie a tal proposito documenta che “All’indomani della sentenza del Tar della Campania a proposito del caso-Marano, (…), il ministro dell’Interno incontrò una delegazione di sindaci della Campania, e (…) propose l’istituzione di un tavolo di concertazione per rendere più efficace e limitare i rischi di arbitrarietà della normativa vigente in tema di collusione tra enti locali e criminalità organizzata. Segno che anche al Ministero si riconobbe la necessità di un intervento riformatore della normativa”[3].
Il punto più alto della riflessione critica sull’istituto dello scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose è rappresentato dalla discussione conclusasi il 12 luglio 2005 in Commissione Antimafia con un Documento di sintesi[4] (all. 5). Obiettivo dichiarato del documento è quello di “fornire maggiore efficacia ed incisività ai provvedimenti adottati dallo Stato a salvaguardia del regolare svolgimento della vita delle comunità locali”[5]. La Commissione, alla luce delle esperienze consolidate in materia di scioglimento, arriva a formulare la considerazione della inefficacia dello scioglimento, in molti casi, rispetto alle finalità di rinnovamento e sottrazione “dal giogo che la criminalità organizzata impone con il controllo delle attività amministrative”[6].
Benvero l’evoluzione della normativa disciplinante gli enti locali, segnatamente l’elezione diretta del Sindaco (e del Presidente della Provincia) e le norme sulla dirigenza pubblica, costituiscono ulteriori impulsi alla necessità di adeguamento della normativa antimafia[7].
La Commissione antimafia appare ben consapevole della differenza qualitativa tra la diversa consistenza degli elementi necessari per l’avvio di un procedimento penale e quelli indispensabili per lo scioglimento di un’amministrazione. Attesa la funzione di prevenzione e difesa sociale della misura dello scioglimento, ben si giustifica il diverso spessore tra elementi probatori in senso proprio ed indici di infiltrazione mafiosa[8].
Tuttavia gli elementi che portano allo scioglimento “devono consentire di configurare una situazione nella quale l'interferenza con la libera determinazione degli organi di autogoverno locale sia collegabile all'esistenza di fenomeni (…) di criminalità organizzata che sono ragionevolmente riconducibili agli esponenti politici locali oggetto del provvedimento”[9]. Ciò al fine di evitare arbitri, come sottolineato dai casi limite esaminati.

II. Un passaggio fondamentale del Documento della Commissione Antimafia (all. 5) deve ritenersi, a buon diritto, l’analisi dell’incidenza sulla normativa di scioglimento degli Enti della riforma della dirigenza pubblica, introdotta con il D. L. 18 agosto 2000, n° 267.
Principio ispiratore della citata riforma è quello della separazione dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che spettano agli organi di governo, dai poteri di gestione amministrativa, finanziaria e contabile, di competenza dei dirigenti.
Orbene, attesa la ripartizione dei poteri e delle responsabilità operata dalla riforma, si pone l’esigenza di “salvaguardare l’Amministrazione che, pur evidenziando nella propria gestione elementi di compromissione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione, non manifesti responsabilità del livello politico”[10].
La Commissione, pertanto, propone di modificare la disciplina sullo scioglimento degli enti locali, aggiungendo l’ipotesi di commissariamento dell'area gestionale da realizzarsi “mediante la nomina di un commissario straordinario che svolga le funzioni del direttore generale con poteri di avocazione delle funzioni gestionali,
amministrative e finanziarie dei servizi interessati”[11].
La sussistenza di responsabilità del livello dirigenziale nel verificarsi di infiltrazioni mafiose dovrebbe implicare, quale portato naturale, la possibilità di “risoluzione del rapporto di diritto pubblico o privato instaurato con l’ente, per il venire meno del rapporto fiduciario sottostante”[12]; analogamente, per i lavoratori dipendenti, la Commissione antimafia ritiene che l’accertamento della sussistenza di responsabilità nel verificarsi di fenomeni infiltrativi a carico di questi, debba poter determinare l’avvio di procedimenti disciplinari che possano terminare anche con il licenziamento del dipendente[13].

III. Il documento dell’Antimafia (all. 5) si sofferma sull’opportunità di introdurre nella normativa in materia un ulteriore presupposto di scioglimento. Invero l’art. 143 del D. Lgs. 267/2000 prevede l’ipotesi di scioglimento nei casi in cui risulti compromesso il buon andamento dell’ente. Il principio del buon andamento, richiamato dall’art. 97 della Costituzione, pone a carico del funzionario pubblico l’onere di svolgere la propria attività secondo i modi e le forme più opportuni per garantire efficienza, speditezza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa. La Commissione opportunamente argomenta che, oltre al principio del buon andamento, la normativa sullo scioglimento debba tutelare anche quello dell’imparzialità della P. A., che si estrinseca nella estraneità dell’azione amministrativa ad interessi particolari[14].
L’esperienza pratica dei condizionamenti mafiosi insegna che sovente un atto “pur non ledendo i principi di efficacia, efficienza, speditezza ed economicità, abbia leso quello di imparzialità”[15]. Un esempio pratico è quello, peraltro frequente, di “appalti aggiudicati al prezzo più basso, in tempi celeri e senza spreco di risorse pubbliche, ma assegnati favorendo un’impresa mafiosa”15.
Pertanto il Documento suggerisce che oggetto di valutazione da parte della Commissione d’accesso sia non solo l’eventuale turbativa del buon andamento di un’amministrazione, ma anche dell’imparzialità. Beninteso la sanzione da applicare nel caso di compromissione dell’imparzialità dell’amministrazione colpirà il livello politico e/o quello dirigenziale, a seconda dell’addebitabilità delle situazioni compromissive riscontrate[16].

IV. La proposta di modifica legislativa si sofferma su tre aspetti non secondari delle vicende di scioglimento.
Il primo è quello dell’accertamento di compromissioni individuali con la criminalità organizzata non suscettibili di interferire con la vita dell’Ente.
Sotto tale profilo, la Commissione indica la necessità di previsione legislativa di un potere di sospensione o decadenza dalla funzione svolta, sia essa elettiva o dirigenziale. Poteri da esercitarsi, in ogni caso, nelle forme e con il controbilanciamento delle garanzie giurisdizionali previste per lo scioglimento dell’ente[17].
Ancor più centrale è la questione del termine per l’esecuzione delle indagini intraprese dalla commissione d’accesso. Come ricorda Mauro Bestini, sindaco di Marano di Napoli, rievocando la propria vicenda[18], la commissione d’accesso protrasse nell’ente le proprie funzioni per “dodici mesi di occupazione militare e di blocco degli uffici, impegnati nella continua richiesta di documenti e fotocopie”[19].
Evitare di compromettere ulteriormente la funzionalità dell’ente oggetto di indagine, in ragione del protrarsi dell’attività inquisitoria della commissione d’accesso: in quest’ottica la Commissione Antimafia ritiene congruo “fissare il termine di tre mesi entro il quale la commissione dovrà ultimare l’attività di accesso, fissando (…) nei successivi tre mesi il termine entro il quale dovrà essere emanato il provvedimento definitivo (…)”[20].
Una limitazione temporale all’esercizio dei poteri di accesso ritenuta senz’altro indispensabile, alla stregua delle esperienze maturate nel corso di questi anni.
Infine non può omettersi l’importanza di un’ulteriore proposta di modifica legislativa della Commissione, consistente nel riconoscimento al Prefetto della facoltà di consultare il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, al quale sia chiamato altresì a partecipare il Procuratore della Repubblica competente per territorio. Una consultazione ritenuta indispensabile per “ conferire maggiore solidità argomentativa alle motivazioni poste a base delle decisioni adottate dall'Amministrazione dell'Interno nell'ambito della propria autonomia”[21].

V. Oltre che sugli aspetti connessi allo scioglimento, la pars distruens di un’attività amministrativa compromessa da infiltrazioni mafiose, la Commissione antimafia indica alcune direttrici di modifica alla legge in vigore, il cui precipuo scopo è migliorare l’incisività della gestione straordinaria “tesa al recupero effettivo delle condizioni generali dell’azione amministrativa secondo il dettato della Carta costituzionale”[22].
A tal fine la Commissione ravvisa l’opportunità di innovare la normativa vigente, indicando sin dalla relazione del prefetto allegata alla proposta di scioglimento, i “punti critici dell’azione amministrativa”. Ciò al fine di motivare la misura adottata, ma anche di individuare “adeguate soluzioni di recupero di ogni aspetto della legalità dell’azione amministrativa condotta nell’interesse della collettività”[23].
Preliminarmente, allo scopo di garantire una intensa professionalità e specializzazione alla gestione straordinaria, la Commissione propone di innovare la normativa vigente mediante l’istituzione di un ruolo dei Commissari straordinari presso il Ministero dell’Interno[24]. Anche la provenienza da un territorio provinciale diverso da quello d’appartenenza dell’ente sciolto, per ragioni inespresse ma di evidente opportunità, viene individuato come elemento qualificante della gestione24.
I principi che debbono presenziare all’azione commissariale vengono individuati in quelli di “promozione della legalità, dello sviluppo e della partecipazione democratica”[25].
Nei settori più “sensibili” ai condizionamenti, quale quello degli appalti, servizi e forniture, la Commissione Antimafia ravvisa l’opportunità di concedere alla gestione commissariale la possibilità di stipulare contratti a trattativa privata anche in deroga alla normativa di evidenza pubblica, procedura da adottare “solo quando non si possa accedere con la stessa efficienza e celerità agli ordinari strumenti offerti dalle norme in vigore in materia di evidenza pubblica”[26]. Nella medesima logica si pone l’esigenza di conferire espresso mandato alla gestione commissariale di provvedere alla ricognizione sull’aggiudicazione di appalti, affidamento in concessione di servizi pubblici locali, concessioni edilizie, autorizzazioni amministrative ed incarichi professionali26.
Il riflesso delle innovazioni legislative nel campo della dirigenza ed il conseguente riparto di sfere decisionali[27] trova un suo strumento pratico nella previsione di innovazione legislativa proposta dalla Commissione, in ordine agli spostamenti del personale dell’ente, anche “in deroga alle norme in materia di contrattazione e concertazione con le organizzazioni sindacali” verso le quali residuerebbe un obbligo di comunicazione preventiva dei provvedimenti adottati[28]. Tale misura si giustificherebbe in forza “dell’eccezionale interesse dello Stato al ripristino della legalità nello svolgimento dell’azione amministrativa gravemente compromessa dall’infiltrazione mafiosa”28.

VI. Il Documento in esame (all. 5) si conclude con l’analisi di due profili residuali ma non secondari. Il primo riguarda la previsione di una sanzione di ineleggibilità a carico dei soggetti che abbiano dato causa all’infiltrazione mafiosa nell’ente. Beninteso tale previsione, atteso che sovente riguarderebbe soggetti a carico dei quali non si è formato un giudicato penale, dovrebbe essere temporanea e limitata al solo successivo turno elettorale utile[29]. Anche in tal caso, comunque, pur non contestandosi l’utilità della modifica proposta, resta problematico conciliare tale esigenza con l’art. 48 della Costituzione.
L’ultimo aspetto, infine, è quello della tutela giurisdizionale delle amministrazioni oggetto del provvedimento di scioglimento. Al fine di evitare, da un lato, contrasti giurisprudenziali e dall’altro disparità di trattamento giudiziario delle singole vicende, la Commissione propone la devoluzione della cognizione delle vicende giurisdizionali inerenti lo scioglimento al TAR Lazio (Roma).

§ 5. Il progetto di legge Sinisi – Cristaldi.
I. I contenuti del “Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso” (all. 5) testé esposti hanno ricevuto una formalizzazione di D. D. L. ad opera degli onorevoli Giannicola Sinisi e Nicolò Cristaldi[30] (all. 6).
Tale progetto, presentato il 22 Dicembre 2005 ed assegnato in data 30 Gennaio 2006 alla Commissione Affari costituzionali in sede referente, non è stato sottoposto ad esame per le note vicende inerenti lo scioglimento delle Camere.
Il disegno di legge, laddove fosse approvato, innoverebbe radicalmente la vigente normativa, secondo le linee suesposte[31].
Orbene è opportuno, nell’ambito del mandato consulenziale affidato allo scrivente, tentare un bilancio di quanto possa ritenersi condivisibile nelle linee propositive del DDL, con particolare riguardo ad eventuali possibili istituti di immediata attuazione, indicando altresì eventuali criticità e segnalando ulteriori possibili modifiche al testo normativo.

II. La proposta Sinisi – Cristaldi (all. 6) appare, nella sua sostanza ampiamente condivisibile ed in linea con l’esigenza di soluzione di quelle criticità emerse nell’applicazione dell’istituto dello scioglimento per infiltrazioni mafiose degli enti.
Pertanto se ne indicheranno solo quegli aspetti modificabili in melius ovvero quelle integrazioni ritenute opportune.
Seguendo l’ordine dell’articolato modificato dal DDL, l’art. 143 co. 3 che prevede incidentalmente la costituzione di un albo dei commissari d’accesso, potrebbe essere integrato dalla previsione di incompatibilità – quanto meno temporalmente limitata – tra le funzioni di commissario d’accesso e quella di commissario straordinario. Ciò anche in difformità alla previsione del comma 4 dell’art. 144 nuovo testo, che prevede l’utilizzo di iscritti al costituendo ruolo di commissari straordinari non impiegati in commissioni straordinarie come commissari d’accesso.
Tale previsione risponde all’esigenza di specializzazione settoriale nell’esercizio delle funzioni, peraltro già recepita dal legislatore.
Il comma 4 del medesimo art. 143 andrebbe integrato con una duplice previsione: a) da un lato la previsione del diritto dell’Ente oggetto di accesso di presentare le proprie controdeduzioni alle conclusioni della commissione d’accesso entro un congruo termine. Ciò al fine di munire l’ente di una tutela extra giurisdizionale e di fornire uno strumento cognitivo ulteriore al Prefetto.
Tale facoltà avrebbe anche un’altra finalità, quella di deflazionare il contenzioso amministrativo, atteso che il Prefetto anche alla luce delle controdeduzioni dell’ente, melius re perpensa, possa adottare un provvedimento di diniego dello scioglimento ovvero possa limitare questo alla sola area gestionale ed amministrativa, ricorrendone i presupposti; b) quale modifica aggiuntiva al presente comma, si suggerisce l’obbligatorietà del parere che il Prefetto della provincia interessata deve richiedere al Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, integrato con la partecipazione del Procuratore della Repubblica competente per territorio, sull’emissione della proposta di scioglimento. L’obbligatorietà di tale parere risponde alle medesime esigenze di cui al punto precedente.
Ad integrazione delle previsioni di cui al testo dell’art. 145, con espresso riferimento agli incarichi professionali esterni, si suggerisce l’opportunità di istituire presso la Prefettura di ogni provincia un “albo per gli incarichi professionali presso gli enti commissariati”, dal quale la Commissione straordinaria avrebbe l’obbligo di attingere per il conferimento di incarichi con criteri di rotazione automatica, fatta salva la natura particolare dell’incarico, da motivarsi congruamente da parte della commissione. Gli iscritti a tale albo dovrebbero preventivamente accettare un accordo quadro relativo alle tariffe per l’espletamento dei servizi offerti, oltre ad offrire garanzie di ripudio della criminalità organizzata. Tale previsione risponde ad un triplice obiettivo: a) garantire, almeno sotto il profilo previsionale, la certezza per l’Ente di avere una preventiva conoscenza delle tariffe applicate dai professionisti esterni. Ciò anche nell’ottica di un successivo ritorno alla normalità amministrativa dell’ente; b) evitare una prassi consolidata, purtroppo riscontrata, di contiguità tra commissari e fiduciari esterni, con l’attribuzione costante di incarichi esterni ai medesimi soggetti in ragione degli spostamenti dei singoli commissari, c) monitorare l’affidabilità dei fiduciari esterni costantemente nel tempo.
Neutrale è invece il giudizio su altri aspetti della proposta normativa in esame.
Invero la previsione di cui all’art. 145 co. 3 della novella legislativa (stipulazione di contratti di forniture di beni e servizi con il metodo della trattativa privata, anche in deroga ai principi di contabilità pubblica) richiederà opportunamente la “congrua motivazione” di cui alla medesima norma per non divenire uno strumento distorsivo dell’ordinato svolgimento della contrattazione pubblica.
Altresì opportuna è la previsione espressa di tutele giurisdizionali a fronte del disposto del comma 6 del medesimo articolo, in ordine alla sospensione delle norme in materia di contrattazione economica collettiva decentrata e di concertazione con le OO. SS.. Pur nell’evidenza della ratio legis, la deroga ai diritti fondamentali del prestatore di lavoro dovrebbe prevedere una congrua motivazione e delle garanzie di tutela per lo stesso.
Infine la devoluzione di tutte le controversie al TAR Lazio (Roma), prevista dall’art. 146 della novella, pur partendo da un’esigenza di uniformità interpretativa della norma, di fatto potrebbe non costituire un elemento necessario della proposta normativa, atteso che i Tribunali amministrativi regionali in buona sostanza hanno dimostrato una sostanziale uniformità di indirizzo nella trattazione delle problematiche connesse allo scioglimento degli enti.

§ 6. Una prospettiva attuale di integrazione della disciplina sullo scioglimento in vigore.
Nelle more dell’iter parlamentare del disegno di legge Sinisi – Cristaldi, la cui approvazione è incerta nel quando e nell’an, la Regione Campania - nella quale tanta incidenza riveste lo scioglimento degli enti per infiltrazioni mafiose - potrebbe direttamente adoperarsi, nei limiti concessi dalla Costituzione, per la modifica di taluni aspetti della vigente normativa.
Lo strumento che quivi si indica per la modifica è quello di un Protocollo d’intesa, da stipularsi tra la Regione e le cinque Prefetture nelle quali è articolato il nostro territorio regionale.
I punti salienti di tale protocollo che si sottopongono all’attenzione della Commissione speciale osservatorio contro la camorra e la criminalità organizzata sono i seguenti: a) attribuzione delle funzioni di commissario d’accesso o commissario straordinario a soggetti che esercitano le proprie funzioni o risiedono fuori dal territorio della provincia dell’ente interessato; b) incompatibilità temporalmente limitata,almeno per un biennio, tra le summenzionate funzioni; c) adozione, sin dall’immediato, di un modello tipicizzato di relazione commissariale e di proposta di scioglimento che recepisca le indicazioni di massima di cui al testo dell’art. 143 co. 4 come novellato dalla proposta Sinisi – Cristaldi. In particolare si propone che la relazione commissariale indichi analiticamente “la natura dei collegamenti con la criminalità organizzata da parte degli amministratori (…) tali da compromettere il regolare svolgimento dell’azione amministrativa”. La proposta prefettizia, inoltre, dovrebbe dettagliatamente indicare “gli appalti, i contratti ed i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da una condotta antigiuridica”; d) istituzione dell’ albo per gli incarichi professionali presso gli enti commissariati.

[1] Già il Mosca, nel 1901, accenna alla problematica delle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Si veda il “Giornale degli Economisti” luglio 1901, p. 236-62, trascrizione di una conferenza tenuta a Torino, ora in Mosca, Gaetano, Che cos’è la Mafia, Stampalternativa, Viterbo, 1994, a cura di Pietro Flecchia, pagg. 25 – 26
[2] Francesco Paolo Casavola, Conferenza stampa del 25 gennaio 1994, da www.cortecostituzionale.it.
[3] Nebiolo, Marco Cambiare la legge per salvarla, in Narcomafie, giugno 2005
[4] Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare (XIV legislatura), Seduta del 12 luglio 2005 Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, in Atti della Commissione, 2005.
[5] Ibidem, pag. 1
[6] Ibidem, pag. 2
[7] Ibidem, pag. 2
[8] Documento di sintesi… passim, pagg. 3 e 4
[9] Ibidem¸ pag. 4
[10] Ibidem, pag. 5
[11] Documento di sintesi…, pag. 5
[12] Ibidem
[13] Ibidem
[14] Documento di sintesi…, pag. 7
[15] Ibidem
[16] Documento di sintesi…, pagg. 7 ed 8
[17] Documento di sintesi…, pag. 8
[18] Vedasi infra, § 4. I
[19] Nebiolo, Marco Cambiare la legge…… cit., v. infra in nota 3
[20] Documento di sintesi…, pag. 9

[21] Documento di sintesi…, pag. 9
[22] Ibidem
[23] Documento di sintesi…, pag. 9
[24] Ibidem, pag. 10
[25] Ibidem
[26] Ibidem, pag. 11
[27] V. infra, § 4, II
[28] Documento di sintesi…, pag. 11
[29] Ibidem, pag. 12
[30] A testimonianza della crucialità del tema e dell’interesse suscitato negli schieramenti di maggioranza ed opposizione, si indicano, altresì, gli altri cofirmatari del progetto, con i rispettivi gruppi politici di appartenenza: On. Domenico Bova (DS-U), On. Enzo Ceremigna (Misto, Rnp), On. Giampiero D'Alia (UDC (CCD-CDU)), On. Lorenzo Diana (DS-U), On. Massimo Grillo (UDC (CCD-CDU)), On. Giuseppe Lumia (DS-U), On. Angela Napoli (AN), On. Giovanni Russo Spena (RC)
[31] V. infra, § 4.

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