giovedì 19 aprile 2007

ideologie, riformismo e rivoluzione

Un po' di politica, un po' di autobiografia, sull'onda del ricordo.
Quando ero un giovane dissennato, ritenevo che lo studio della filosofia della politica (ohibò!) avrebbe potuto avere una parte importante nella mia vita. Perciò un giorno, un po’ per gioco, un po’ per vanagloria boriosa da studiosello dilettante, elaborai una sorta di “griglia” che potesse contribuire a classificare ed “incasellare” le ideologie secondo concetti generali. Una operazione probabilmente neppure originale, ma che a me fece l’impressione che deriva (immagino) da una grande scoperta scientifica.
In questa “griglia”, dunque, distinguevo le ideologie secondo: a) i moventi in i. descrittive (a seconda che cristallizzino in teoria una prassi in vigore); prescrittive (quando delineano un mondo in divenire o come si vuole che divenga) e di crisi (nate, cioè, da una rottura degli equilibri storici, politici, culturali, ideologici ecc. vigenti); b) la collocazione, rispetto al sistema politico – ideologico vigente al loro sorgere in i. sistemiche ed anti sistemiche; c) i contenuti, distinguendo le i. classico – razionali da quelle romantico – spirituali; e d) secondo il territorio, laddove l’elaborazione ideologica fosse nazionale o ultra nazionale. In soldoni, per comprendere il discorso con esempi, il fascismo – alla stregua dei criteri suesposti – poteva essere definito una ideologia di crisi, anti sistemica, romantico – spirituale e nazionale. Il comunismo era invece un sistema ideologico prescrittivo, anti sistemico, classico – razionale e ultra nazionale. Il socialismo liberale, per portare un esempio meno noto, sarebbe da considerarsi una ideologia di crisi, sistemica, classico – razionale ed ultra nazionale. Ovviamente il gioco funziona solo se ai termini che connotano le ideologie non si danno significati di valore o disvalore, ma li si considera assiologicamente neutri, come se fossero criteri naturalistici.
A più di dieci anni di distanza, questo giochino mi è tornato in mente. Stavo cercando di trovare una coerenza nel mio piccolo percorso politico – ideale che, dalle posizioni originarie (il mio primo voto andò, pensa tu, al PLI!), mi ha portato molto più a sinistra di quanto potessi credere.
A sinistra dopo il crollo del comunismo, a sinistra in un’epoca nella quale sono di moda le “terze vie”, i riformismi, la post socialdemocrazia.
Lo scrittore Pitigrilli diceva che “si nasce incendiari e si muore pompieri”, riferendosi a tante parabole di accesi rivoluzionari divenuti altrettanto accesi conservatori. Come mai io, nato pompiere, mi sento sempre più (spesso mio malgrado) un po’ incendiario?
Dall’esperienza di questi ultimi anni ho tratto l’impressione, spesso ahimé confermata, che il riformismo abbia bisogno, per la sua sopravvivenza, di una forte sinistra antagonista che faccia da stimolo, da pungolo e contraltare, altrimenti si isterilisce in una prassi di gestione del quotidiano non nutrita da ideali. Un riformismo senza sinistra comunista nei confronti del liberismo esasperato finisce per essere un viaggiatore che, anziché prefiggersi di giungere ad una meta con l’aereo, vuole arrivarci in bicicletta. Insomma, la destinazione è sempre la stessa, cambia solo la velocità con la quale ci si arriva.
Questo aspetto è quotidianamente sotto i nostri occhi: non occorre alcun particolare esempio per comprendere la sterilità ed inefficacia di tante ricette suggerite per alleviare la povertà di milioni di abitanti nei paesi in via di sviluppo e delle centinaia di migliaia escluse dalla ‘società dei 2/3’.
Se, nel fondo del mio cuore, mi sento un riformista (ma non nello svilito significato che ora si attribuisce a questa parola di ‘moderato pavido’), la situazione attuale mi spinge a farmi rivoluzionario.
Una bella beffa per chi, quando militava nella FGCI, veniva indicato affettuosamente (almeno spero!) come “il socialdemocratico” o “il socialista”. Ma tant’è. A volte non è importante il percorso che si segue, ma la chiarezza della meta finale.

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