mercoledì 18 aprile 2007

Referendum, frenetica passion

Democrazia diretta: che bella cosa. Nella nostra costituzione il referendum ne é l’espressione principale. Ma, ultimamente, l’eccesso di referendum ha ucciso il referendum. Ora la consultazione referendaria torna nell’agenda della politica. Ferma restando l’importanza del tema (riforma elettorale) esistono delle alternative???
Essendo questo un vecchio post del mio precedente blog, la riflessione non tiene conto delle bozze 'Calderoli' e 'Chiti', che io peraltro ritengo pessime.


E così, ancora una volta, anche se un po’ in sordina, s’avanza la “gioiosa macchina da guerra” referendaria.
L’obiettivo dei referendari, stavolta, è la parziale modifica del sistema elettorale in vigore (detto, da Sartori, il porcellum, dopo la sortita di Calderoli, suo ideatore e padre che lo definì “una porcata”), mediante l’attribuzione del premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito e l’abolizione della possibilità di candidature multiple “civetta” nei vari collegi.
Sono anni che, periodicamente, ci misuriamo con consultazioni referendarie. A volerle ripercorre tutte, gira la testa: il turbine di campagne elettorali e di tematiche proposte al cittadino diventa vertiginoso.
Renato Mannheimer, dopo il mancato conseguimento del quorum agli ultimi referendum sulla procreazione assistita, dimostrò – con una serie di argomenti assolutamente condivisibili, ma che ora non rammento uno per uno – come sia difficile, se non impossibile, raggiungere il quorum in una consultazione referendaria.
Perciò, di fronte all’uso pervicace ed inconsulto dello strumento referendario, non si può che restare sbalorditi ancora una volta. Lo stupore, poi, cresce soprattutto quando al vorace cittadino – elettore viene proposto un quesito su un tema quale la riforma elettorale importantissimo sì nelle sue implicazioni, ma che l’elettore (giustamente) percepisce come di competenza degli eletti lautamente retribuiti e non sua personale. Certo si potrebbe rispondere che il movimento promosso da Mario Segni riuscì a conseguire due volte il risultato clamoroso di superare il quorum. Verissimo: ma quegli anni, seppur vicini cronologicamente, sono psicologicamente lontanissimi: i sentimenti e risentimenti che condussero i cittadini alle urne, la battaglia di fedi contrapposte che si creò intorno ai quesiti, la volontà di trovare una via di uscita al disfacimento in atto della prima repubblica e, perché no, il decisivo contributo di Craxi che invitò bruscamente all’astensione (“Tutti al mare”) non sono più ripetibili.
A ciò aggiungasi una considerazione: il gioco non vale la candela. Il sistema elettorale in vigore è assolutamente scadente ed orrendo, una disgrazia abbattutasi tra capo e collo sul paese, nato dall’esclusiva volontà dell’ex Polo delle ex libertà di ingessare lo status quo e contenere i margini della prevista sconfitta. Orbene, una donna orribile non diventa più bella aggiungendo o togliendo qui e lì un accessorio o un po’ di silicone.
Perciò ben farebbero i propugnatori di una riforma elettorale ad accantonare i propositi referendari, destinati inevitabilmente a concludersi con un insuccesso, l’ennesimo della serie.
Mi si potrebbe obiettare: il referendum è uno strumento di pressione per costringere le coalizioni a sedersi intorno ad un tavolo e partorire un sistema elettorale più decente. Poi, laddove tale tentativo fallisse, la mobilitazione dei cittadini resterebbe l’extrema ratio. Benissimo. Tuttavia faccio sommessamente osservare che dal 1995 si sono susseguite tante e tali proposte di riforma (riforma di cui è stata officiata, tra gli altri compiti, persino una commissione Bicamerale) e non si è pervenuti a nulla. Chi volesse un esauriente ed esaustivo quadro d’assieme su tale problematica legga il volume Mala tempora, di Giovanni Sartori, che raccoglie gli interventi dell’illustre politologo su quotidiani e periodici dal 1994 al 2005: un’intera sezione è dedicata alle proposte di riforma elettorale succedutesi nel tempo.
E allora, ecco una modesta proposta ai referendari: posto che il fine della riforma elettorale sia desiderabile e che erroneo sia il mezzo con il quale lo si vuole conseguire (il referendum, appunto), perché non cambiare metodo? In sintesi: una volta raggiunto un accordo nel comitato promotore su un sistema elettorale, perché non sottoporre lo stesso al giudizio dei cittadini mediante la raccolta di firme per un disegno di legge di iniziativa popolare? Pensateci bene, amici referendari: un milione di firme (mettiamo) raccolte sul sistema elettorale x sono una massa critica di cui parlamento e governo non possono non tener conto e, se l’ignorano, faranno i conti con ognuno di quel milione di firmatari. Un movimento trasversale per un sistema elettorale può porsi obiettivi a lunga scadenza che trascendano il limitato orizzonte temporale referendario e può costituire l’embrione di una nuova aggregazione politica o associativa.
Invece cinque milioni di voti (poniamo) che non servano a raggiungere il quorum referendario sono uno smacco per il movimento promotore, un dispendio per le tasche dei cittadini ed un utile alibi per parlamento e governo a ritenere inattuale e non prioritaria la questione ed accantonarla.

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