martedì 24 aprile 2007

Revisionismo e falsificazioni

Per gentile concessione della Dott.ssa Elisabetta Roggero, che ringrazio affettuosamente, pubblico sul mio blog questo articolo, già apparso su Left del 08.09.2006, corredato di una esaustiva bibliografia, che tratta un tema scottante ed attuale: il revisionismo storico.



Sono passati oltre quattro mesi dalla condanna a tre anni del pubblicista britannico David Irving, reo di aver espresso in conferenze pubbliche tenute nel 1989 in Austria le sue già note tesi storiografiche, ma risuona ancora l’eco delle reazioni degli studiosi di tutto il mondo. Irving è stato condannato dal tribunale austriaco per aver violato la Verbotsgesezt, una legge che punisce la negazione dei crimini nazisti, punto delicato nel processo di superamento del passato da parte di un paese che negli anni Trenta accolse con entusiasmo l’annessione alla Germania hitleriana e che solo pochi anni fa ha dovuto dar conto all’Unione Europea per la partecipazione all’esecutivo del neonazista Jörg Haider. Dunque, una norma giuridica che scaturisce dal contesto storico austriaco, ma che, recentemente rinnovata, si fa portatrice di principi contro il razzismo e la xenofobia riconosciuti universalmente. Soprattutto per questo colpisce lo straziante grido di lesa libertà d’espressione suscitato dalla sentenza del tribunale viennese sulle pagine della pubblicistica mondiale.La comunità degli intellettuali italiani, in particolare gli storici, in qualche caso paventando prossime imposizioni per decreto sugli studi, ha espresso tendenzialmente un forte disagio verso questo caso giudiziario, manifestando un diffuso timore che la storiografia si ritrovi ad essere difesa in un tribunale, invece della continua discussione nella torre d’avorio dove si fa Cultura, benché a tale livello questo genere di pubblicistica non sia preso minimamente in considerazione.Pur con uno sguardo distratto agli scaffali delle librerie è evidente come l’interesse del grande pubblico per la storia, soprattutto contemporanea, sia esponenzialmente aumentato negli ultimi anni; sempre più spesso troviamo copertine «ad effetto”primeggiare: la storia vende. La saggistica accademica, quella stessa che contribuisce di fatto a costruire e rivedere la storiografia, ma soprattutto educa gli studenti nelle università, rimane invece alle abituali tirature limitate. Non sono molti gli esempi di saggi storici che abbiano venduto quanto il tendenzioso ibrido, con aspirazioni un po’ di saggio e un po’ di romanzo, Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa. Questa operazione commercial-ideologica di rovesciamento del senso comune ha ricevuto un’impressionante e strumentale attenzione da parte dei media, lasciando nell’ombra opere metodologicamente corrette sullo stesso tema come I conti con il fascismo di Hans Woller, con un’unica risposta che ha ricevuto un po’ di rilevanza mediatica: La crisi dell’antifascismo di Sergio Luzzatto, benché sia un’opera improntata criticamente in un’accezione politica e non metodologica.Il genere di storiografia di diversione palesatosi con il successo de Il sangue dei vinti e le conseguenti implicazioni ideologiche, sta prendendo socialmente il sopravvento, probabilmente perché lontano dai poco brillanti toni dell’Accademia, quanto dalle basilari norme professionali e deontologiche dell’attività di storico. Purtroppo questo sintomo della cattiva storiografia continua ad essere sottovalutato o ignorato dagli accademici che preferiscono rimanere lontani dai livelli divulgativi e mediatici, il ché significa anche eludere la critica all’uso politico della storia, fenomeno che supera in senso negativo «l’uso pubblico della storia» stigmatizzato da Habermas.In questo genere di storiografia da scoop si potrebbe inserire buona parte dell’originale lavoro del pubblicista britannico? No.Irving non ha solo espresso sistematicamente opinioni o tesi originali rovesciando un senso comune: egli ha negato l’esistenza delle camere a gas e dunque i genocidi commessi dal nazismo nella maniera che ha reso famosi alcuni suoi lavori: arricchendo l’apparato «critico» dei suoi testi con una pedante dovizia nella registrazione delle fonti attraverso pomposi riferimenti in nota. Il lavoro di Irving si situa dunque a pieno titolo in quella corrente «storiografica» definita negazionismo, che non si limita a revisionare i risultati di oltre cinquant’anni di opere documentate, ma che con una metodologia ben descritta nelle analisi della semiologa Valentina Pisanty, tende a distruggere o ignorare qualsiasi documento intralci la tesi negazionista.La confutazione degli aspetti più ripugnanti del nazismo ed il proposito di una rimozione dalla memoria collettiva è lo strumento primario utilizzato nel tentativo di recuperare moralmente ciò che è stato condannato dalla storia, perciò il movimento negazionista non può essere confuso con il revisionismo pur inteso nell’accezione negativa, ma comunque all’interno di una corretta pratica storiografica, in quanto la revisione è lo strumento essenziale del lavoro dello storico, come coralmente ribadito nella recente raccolta Revisione e Revisionismi a cura di Angelo d’Orsi e Filomena Pompa.La teoria negazionista, che oggi è propagata attraverso le maglie della rete internet in maniera incalzante, s’impone sulla scena internazionale con una polemica scaturita da due interviste rese tra il 1978 e il 1979 al Matin de Paris e Le Monde da parte del docente di letteratura a Lione Robert Faurisson quando sostenne: non ci sono mai state camere a gas nei campi di concentramento. Dal primo intento di uscire dal proprio circolo chiuso, per i negazionisti diventa progressivamente necessaria una legittimazione ufficiale come corrente storiografica, per questo hanno bisogno in qualche modo di staccarsi dall’identificazione con il neonazismo. In questa direzione i trozkisti della francese Vieille Taupe come Pierre Guillame daranno un supporto rileggendo nella Shoah un’alterazione della verità da parte di una potente classe sociale a sé. A rifarsi direttamente alla Vieille Taupe sono i negazionisti marxisti nostrani: Andrea Chersi e Cesare Saletta.In Italia la gestazione del movimento è relativamente tarda ma, oltre alle pubblicazioni Graphos ed ai gruppi che si riuniscono intorno a Ordine Nuovo e ad Ar (Aristocrazia ariana) di Franco Freda, produce esempi quali Carlo Mattogno che pur definendosi un democratico e facendo sfoggio d’erudizione, conta con una vasta produzione negazionista che mette in relazione Auschwitz con la favola di Cappuccetto rosso.Oltre ai negazionisti di stampo cattolico, come la rivista antisemita «Sodalitium» di don Curzio Nitoglia, in chiave antiisraeliana è usato il negazionismo di intellettuali islamici tra i quali spicca Ahmed Rami, fondatore di Radio Islam. Non può stupire, dunque, l’interesse del mondo arabo per la vicenda del negazionista Irving testimoniato dalla presenza della rete televisiva Al-Jazeera e di una rete iraniana al processo viennese.Nello stesso periodo della condanna ad Irving un’altra vicenda giudiziaria ha avuto eco sui media, quella di Wanna Marchi, nota per le truffe perpetrate ai danni di persone che semplicemente «le hanno creduto». In questo stesso senso si potrebbe leggere la condanna ad Irving, per punire una grave truffa costruita a danno di tutta quella parte di società che non è stata educata a discernere tra il rigore storiografico e la pubblicistica impegnata in progetti meramente commerciali oppure, come in questo caso, quelli volti in maniera esplicita a negare i crimini nazisti difendendone deliberatamente il progetto politico. Dunque non si può che concordare con le conclusioni del medievista Giuseppe Sergi, che in una rassegna di reazioni al «Caso Irving» per il notiziario di una piccola associazione torinese di storici (http://www.historimagistra.org) ha concluso: Irving «ha presentato come conclusioni scientifiche informazioni non supportate dalle fonti, quindi deve essere condannato come un epidemiologo che, dicendo il falso sull’aviaria, ha determinato o allarme sociale o insufficiente profilassi».Di fronte alle manipolazioni ideologiche della storia, non dovrebbero aver timore di sporcarsi le mani gli storici, evidenziandone le strategie, obiettivi e, dando conto dei risultati della propria ricerca, seguire l’esempio di Antonio Gramsci quando sostenne: «preferisco ripetere una verità già conosciuta, al cincischiarmi l’intelligenza per fabbricare paradossi brillanti”e definì l’attività di storico come «interprete dei documenti del passato, di tutti i documenti, non solo di una parte di essi», dunque correre in aiuto a Clio, la musa ispiratrice degli storici, il cui disagio dipende unicamente dal silenzio.
La Legge di Divieto (Verbotsgesetz, VG) - Sarà punito chi, attraverso la stampa, la radio o con altri mezzi, o ancora chi pubblicamente in qualsiasi maniera fruibile da più persone, neghi, minimizzi grossolanamente, approvi o cerchi di giustificare il genocidio da parte dei nazionalsocialisti o gli altri crimini nazionalsocialisti. Così recita l’articolo 3, comma h, della Verbotsgesezt austriaca, legge di grado costituzionale emanata nel 1945, ampliata nel 1947 e rinnovata durante il Governo Vranitzky nel 1992. Lo stesso testo lo troviamo in Belgio e con il medesimo valore esistono in Europa: la Loi Gayssot in Francia e la Strafgesetzbestimmung in Germania, simile è l’articolo 261bis del Codice penale svizzero ed il Consiglio d’Europa ha recentemente proposto, con un analogo significato in chiave antirazzista, un protocollo addizionale alla Convenzione internazionale sulla cyber-criminalità ad oggi entrato in vigore in sette paesi dell’Unione.
David Irving (24 marzo 1938, Hutton, Essex, GB) Inizialmente studente di fisica all’Imperial College di Londra, dove collabora a giornali studenteschi, lavora per un periodo nella zona della Ruhr ed in Spagna. Nel 1962 scrive sui bombardamenti alleati per il giornale di destra «Neue Illustrierte» di Colonia, materiale usato per la pubblicazione nell’anno successivo di The destruction of Dresden. Dopo volumi dedicati agli armamenti tedeschi ed alle responsabilità britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale, con il materiale documentale messogli a disposizione, dal 1972 inizia a compilare biografie di nazisti quali Gehlen, Milch, Rommel ed i due volumi su Hitler: Hitler’s war (1977) e The war path (1978). Giudicato simpatizzante nazista, decide di occuparsi delle ricerche per una biografia su Churchill, ma visto lo scarso successo torna nel 1989 a dedicarsi ai gerarchi nazisti con una biografia di Göring. Tra il 1977 e il 1988 le sue idee sull’olocausto cambiano drammaticamente poggiando sull’inesistenza di documenti che parlino della Endlösung. A metà degli anni Ottanta è socio dell’Institute for Historical Review, dà conferenze per gruppi di estrema destra quali la Deutsche Volksunion e nega pubblicamente lo sterminio di massa ebraico da parte nazista. Nel 1988, «convinto”dal rapporto Leuchter sull’inesistenza delle camere a gas, testimonia a favore del negazionista Ernst Zündel sotto processo in Canada e nel 1991 rivede l’edizione di Hitler’s war togliendo i riferimenti all’olocausto. Nel 1994 parla ad un evento patrocinato dall’organizzazione neo-nazista Liberty Lobby e nel 1998 querela per diffamazione, con esito negativo, la Penguin con D. Lipstadt, autrice di Denying the Holocaust dove è designato come negazionista. Dal 1989 è interdetto prima dall’Austria, poi da Germania, Stati Uniti, Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda. Arrestato l’11 novembre ad Hartberg in Stiria, dove presenziava ad un raduno dell’Associazione studentesca politico-goliardica di estrema destra Olympia, è condannato il 20 febbraio a 3 anni di carcere.

Bibliografia in italiano
Apocalisse a Dresda. I bombardamenti del febbraio 1945, traduzione di Aldo Rosselli, Milano, A. Mondadori, 1965, 361 p.
Le armi segrete del terzo Reich, traduzione di A. Piva, S. Vertone, Milano, A. Mondadori, 1968, 443 p.
Il convoglio della morte, a cura di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, traduzione di Enzo Peru, Milano, A. Mondadori, 1969, 376 p.
La pista della Volpe, traduzione di Francesco Saba Sardi, Milano, A. Mondadori, 1978, 520 p.
La guerra tra i generali, traduzione di Gaetano Salinas, Milano, A. Mondadori, 1981, 487 p.
Ungheria 1956. Rivolta di Budapest, Milano, A. Mondadori, 1982, 473 p.
Göring. Il maresciallo del Reich, traduzione di Roberta Rambelli, Milano, A. Mondadori, 1989, 715 p.
La guerra di Hitler, traduzione di Mario Spataro, Roma, Settimo sigillo, 2001, 1000 p.
Norimberga. Ultima battaglia, traduzione di Mario Spataro, Roma, Settimo sigillo, 2002, 447 p.
Il piano Morgenthau. 1944-45, un genocidio mancato. Come per vendetta, per lucro e per facilitare l’espansione comunista in Europa si tentò di sterminare il popolo tedesco, traduzione di Mario Spataro, Roma, Settimo sigillo, 2004, 312 p.
http://www.avvenimentionline.it/pdf/35_08-09-2006.pdf - pp. 72-74

Nessun commento: